20 Ottobre 2014

Cessioni di beni previa lavorazione in altro Paese UE e rimborso IVA

di Marco Peirolo
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La sentenza resa dalla Corte di giustizia nella causa C-446/13 del 2 ottobre 2014 (si veda “
Individuazione del luogo delle cessioni per i beni lavorati”, in
ECNews del 14 ottobre 2014) ha messo in luce che, nelle cessioni di beni con lavorazione, il luogo in cui l’operazione si considera effettuata dipende dall’
oggetto del contratto di compravendita, dovendosi distinguere a seconda che ad essere ceduti siano:
  • i beni lavorati dal cedente o da un terzo su incarico del cedente stesso, ovvero
  • i beni destinati ad essere lavorati da un terzo su incarico del cessionario.
Nella prima ipotesi, sulla quale si è pronunciata la Corte UE, se la cessione è posta in essere nei confronti del cessionario non residente, identificato nello
stesso Paese membro del terzista, l’operazione è territorialmente rilevante in quest’ultimo Paese, per cui assume
natura interna e non intracomunitaria.
Nella disciplina applicabile
fino a tutto il 2009, in cui la lavorazione era assoggettata a IVA in base alla regola del Paese del prestatore, il carattere interno della cessione comportava che,
in assenza dell’obbligo di reverse charge da parte del cessionario, il cedente italiano
non poteva ottenere il rimborso dell’IVA dovuta sulla lavorazione, attivabile secondo la procedura prevista dalla Direttiva n. 79/1072/CEE (cd. VIII Direttiva).
In ogni caso, è dato osservare che, a seguito del
trasferimento intracomunitario dei beni a scopo di lavorazione, che l’art. 41, comma 2, lett. c), del D.L. n. 331/1993 considera
“assimilato” ad una cessione intracomunitaria, l’operatore nazionale avrebbe dovuto
identificarsi ai fini IVA nel Paese membro del terzista al fine di assoggettare a IVA il corrispondente acquisto intracomunitario. Tenuto conto che il rimborso “diretto” (di cui all’VIII Direttiva) non era ammesso, il cedente italiano – attraverso la posizione IVA locale precedentemente “accesa” – avrebbe
compensato l’IVA “a credito”, dovuta sulla lavorazione resa dal terzista, con l’IVA “a debito”, dovuta sulla cessione interna dei beni lavorati.
Dal 2010, nei rapporti “B2B”, cioè tra soggetti IVA, le
prestazioni di lavorazione assumono carattere “generico”, per cui sono
assoggettate a IVA nel Paese del committente, anziché in quello del prestatore.
L’art. 5 della Direttiva n. 2008/9/CE, invece,
in analogia all’art. 1 dell’abrogata VIII Direttiva,
consente tuttora di ottenere il rimborso qualora il richiedente non residente, nel periodo di riferimento dell’istanza, abbia compiuto operazioni territorialmente rilevanti nel Paese di rimborso, soggette a IVA mediante
reverse charge.
Nella situazione descritta, in cui la cessione dei beni lavorati è interna al Paese del cliente, non si pone più il problema del recupero dell’IVA sulla lavorazione resa dal terzista comunitario, siccome il debitore d’imposta è l’operatore italiano.
La
posizione IVA accesa nel Paese del terzista, che resta indispensabile per l’acquisizione intracomunitaria dei beni trasferiti a scopo di lavorazione, deve essere utilizzata per la
fatturazione della cessione interna, con addebito della relativa imposta, solo se non opera il
reverse charge in capo al cessionario; in caso contrario, infatti, il cedente italiano, in applicazione dell’art. 21, comma 6-
bis, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, deve emettere
fattura non soggetta a IVA con la dicitura “inversione contabile”.
Si rammenta, infine, che l’identificazione del cedente nel Paese membro del terzista, nella forma diretta o indiretta, cioè per mezzo di un rappresentante fiscale,
non preclude il rimborso dell’imposta eventualmente assolta in tale Paese sugli acquisti di beni/servizi.
Una
diversa posizione è stata espressa dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito delle FAQ pubblicate sul proprio sito Internet (aggiornate al 12 luglio 2010). In tale occasione, è stato
negato il rimborso IVA di cui all’art. 38-
bis2 del D.P.R. n. 633/1972 se il richiedente di altro Paese membro è identificato in Italia direttamente o per mezzo del rappresentante fiscale.
Come già evidenziato da Assonime nella circolare n. 29 del 24 settembre 2010, il rimborso può essere escluso solo quando il soggetto estero abbia utilizzato la posizione IVA italiana per effettuare operazioni territorialmente rilevanti
diverse da quelle consentite, che sono le operazioni in
reverse charge e le prestazioni non imponibili di trasporto e relative prestazioni accessorie.
L’indicazione dell’Associazione trova conferma nell’orientamento della giurisprudenza comunitaria. Con la sentenza del 6 febbraio 2014, causa C-323/12, la Corte di giustizia ha affermato che il soggetto passivo stabilito in uno Stato membro, qualora abbia effettuato cessioni di beni territorialmente rilevanti in altro Stato membro, ivi soggette a
reverse charge, ha il diritto di ottenere il rimborso dell’IVA
anche se identificato, per mezzo di un rappresentante fiscale, in tale ultimo Stato.