27 Febbraio 2018

Cessazione partita Iva bloccata dai crediti in sospeso

di Alessandro Bonuzzi
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Un tema controverso, che interessa molte imprese e professionisti, è quello che riguarda la possibilità di chiudere la partita Iva seppur in presenza di ricavi/compensi ancora da incassare.

L’analisi va fatta distinguendo il comparto dell’Iva da quello delle imposte sul reddito.

Per quanto riguarda l’Iva, la questione si pone per coloro che effettuano prestazioni di servizi, per i quali l’imposta diventa esigibile al pagamento salvo previa emissione della fattura. Il principio base sul quale fondare ogni ragionamento è quello espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 8059/2016, secondo cui “i compensi di prestazioni da attività imprenditoriale o professionale, conseguiti dopo la cessazione dell’attività medesima, devono ritenersi assoggettati ad Iva, risultandone lo “statuto” impositivo definito dalla contestuale ricorrenza, all’atto del manifestarsi del fatto generatore dell’imposta (e suo presupposto oggettivo) anche del relativo presupposto soggettivo”.

In tal senso si è altresì espressa l’Agenzia delle Entrate. In particolare, la risoluzione AdE 232/E/2009 ha precisato che “Fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti, la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile …, l’attività professionale non può ritenersi cessata”. Ciò in quanto “Tali crediti dovranno essere regolarmente assoggettati ad Iva, atteso che al momento della loro riscossione risulteranno essere soddisfatti i requisiti richiesti ai fini dell’imponibilità. Tuttavia, qualora l’istante volesse comunque chiudere la propria partita Iva, senza attendere l’esito del procedimento pendente, dovrà procedere al previo versamento dell’imposta indicata in fattura”.

In pratica, quindi, il professionista non può chiudere la partita Iva in presenza di crediti non ancora riscossi dovendoli assoggettare ad Iva, a meno che non provveda, prima dell’incasso, a fatturare l’operazione assolvendo così l’imposta. Tale conclusione non può che valere anche per l’imprenditore in relazione ai servizi resi e non riscossi.

Sotto il profilo dell’imposizione diretta, la problematica attiene a forfettari, imprese in contabilità semplificata e professionisti, ossia coloro che determinano il reddito in base al principio di cassa. A quest’ultimo riguardo, è possibile rifarsi all’intervento della circolare AdE 17/E/2012 (par. 5.1) che, per il caso di cessazione dell’attività con chiusura della partita Iva da parte di un soggetto che fruisce del regime dei minimi, ha affermato che “in un’ottica di semplificazione che tiene conto delle dimensioni dell’impresa e, in particolare, dall’esiguità delle operazioni economiche che ne caratterizzano l’attività, si ritiene che è rimessa alla scelta del contribuente la possibilità di determinare il reddito relativo all’ultimo anno di attività tenendo conto anche delle operazioni che non hanno avuto in quell’anno manifestazione finanziaria”. Il chiarimento consentirebbe, quindi, di far concorrere al reddito dell’ultimo anno di attività i ricavi o compensi che non hanno ancora avuto manifestazione finanziaria. Tuttavia, attesa la specificità della precisazione dell’Agenzia, oggi, la soluzione è percorribile solo per i forfettari (confermata dalla circolare AdE 10/E/2016). Rimangono, invece, dei dubbi per le imprese in regime di cassa; inoltre, il chiarimento non sembra generalizzabile nei confronti dei professionisti. Ciò in quanto per le imprese in regime per cassa e per i professionisti non forfettari potrebbe venir meno il requisito dell’“esiguità delle operazioni economiche che ne caratterizzano l’attività”.

In conclusione, per questi soggetti, in via prudenziale, l’attività non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni e, in particolare, in presenza di crediti connessi all’attività. Difatti, non sarebbe possibile escludere una contestazione del Fisco, laddove il carico impositivo (Irpef) fosse risultato più pesante se la tassazione fosse avvenuta, anziché nell’anno della chiusura anticipata della partita Iva, nell’anno dell’incasso del credito.

Infine, un discorso a parte va fatto per le imprese per cassa che hanno esercitato l’opzione di cui al comma 5 dell’articolo 18 del D.P.R. 600/1973 (tenuta dei registri Iva senza separata indicazione degli incassi e pagamenti). Per questi soggetti il mancato incasso non impedisce la chiusura della partita Iva: basterà registrare il documento relativo al ricavo in sospeso nel registro Iva per assoggettarlo a tassazione, potendo chiudere, conseguentemente, la partita Iva.

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