23 Settembre 2013

C’è un nuovo trend in Commissione per il redditometro

di Sergio Pellegrino
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Tira un’aria decisamente diversa per il redditometro nelle Commissioni tributarie. Dopo anni in cui la difesa dal “vecchio” redditometro appariva sostanzialmente impossibile, atteso l’orientamento decisamente pro-fisco espresso a più riprese dalla Cassazione, le cose stanno cambiando rapidamente, in modo non dissimile a quanto è avvenuto qualche anno fa per gli studi di settore.

L’Agenzia delle entrate ci ha messo del suo: in modo difficilmente comprensibile, per “promuovere” il “nuovo” redditometro (che aspettiamo ancora al varco) ed il cambiamento strutturale che esso rappresenterebbe, ha di fatto minato ulteriormente la credibilità di quello “vecchio”, pretendendo però nel contempo di continuare ad utilizzarlo per accertare i contribuenti, come se nulla fosse.

Due, fra le molte, sono le pronunce delle Commissioni tributarie favorevoli ai contribuenti sulle quali intendo soffermarmi, entrambe interessanti, se non dal punto di vista squisitamente tecnico, come indicative di un clima molto diverso circa il ricorso agli accertamenti di tipo sintetico.

La prima è la n. 146/1/13 del 12/4/2013 della CTP di Bari, che ha ad oggetto due accertamenti relativi ai periodi di imposta 2007 e 2008.

Nell’accogliere il ricorso del contribuente, i giudici di Bari hanno valorizzato la sentenza della Cassazione n. 23554 del 20/12/2013, con la quale la Suprema Corte aveva indicato come anche il redditometro dovesse essere annoverato tra le presunzioni semplici, con la necessità da parte dell’ufficio di adeguare il “dato statistico” alla reale situazione del soggetto accertato.

Secondo l’impostazione della Commissione, l’onere probatorio non ricadrebbe quindi sul contribuente, quanto invece sull’Agenzia, che deve “provare l’effettiva personalizzazione”.

Nel caso di specie, almeno per i Giudici, non è stata condotta un’attività di questo tipo da parte dell’Ufficio, che si è limitato a recepire acriticamente il risultato del redditometro, e quindi gli avvisi di accertamento sono stati conseguentemente considerati illegittimi.

Si muove invece sul versante dell’incostituzionalità dello strumento la sentenza n. 117/1/13 del 2/5/2013 pronunciata dalla CTP di Campobasso, anche in questo caso in relazione a due accertamenti relativi ai periodi di imposta 2007 e 2008.

La sentenza parte da quello che appare un errore concettuale, ossia il fatto che le tabelle allegate al decreto n. 65648 del 24/12/2012 abbiano sostituito quelle precedenti.

Atteso che così non è, perché Legislatore e Amministrazione hanno sempre rimarcato la distinzione tra i “due” redditometri, rendendosi applicabile la nuova normativa soltanto a partire dal periodo di imposta 2009, proprio questo errore ci fornisce utili indicazioni su quello che potrà essere l’atteggiamento dei Giudici nei confronti del “nuovo” accertamento sintetico.

Secondo la Commissione di Campobasso, “l’analisi di ogni tipo di spesa, la richiesta di giustificare le modalità di investimento dei propri risparmi sino alla grottesca pretesa di conservare tutti gli scontrini fiscali sono elementi che mortificano la libertà del cittadino, imponendogli un’indebita ed illecita compressione che non trova giustificazione né nelle norme nazionali (cfr. violazione artt. 2, 3, 13 e 24 Cost.), tanto meno in quelle europee sinora descritte (cfr. violazione artt. 1, 7 e 8 Carta dei diritti fondamentali UE), né nei principi fondamentali dell’economia”.

Il ricorso ai dati elaborati dall’Istat sarebbe poi da stigmatizzare, considerando che l’attività dell’istituto “non ha a che vedere con la specificità della materia tributaria”, così come il fatto che il redditometro non svolgerebbe alcuna differenziazione tra cluster di contribuenti, ponendo sullo stesso piano “contribuenti del tutto differenti tra loro (l’operaio, l’impiegato, il funzionario, il dirigente, chi ha avuto periodi di disoccupazione alternati a periodi di forti guadagni, etc.)”.

La sentenza prosegue facendo un parallelo fra redditometro e studi di settore, indicando come sia necessario per l’Amministrazione supportare gli elementi o valori standardizzati con elementi effettivi, pena la loro trasformazione da mezzi di accertamento a mezzi di determinazione del reddito.

Bene farebbe l’Agenzia, almeno a nostro parere (si veda l’editoriale di oggi), a tenere conto di questa nuova e diversa “sensibilità” nei confronti del redditometro, anche se non si può non evidenziare un aspetto paradossale.

Per 20 anni abbiamo avuto uno strumento di accertamento davvero rozzo ed inaccettabile, ma che tutto sommato ha (inspiegabilmente per quanto mi riguarda) goduto di buona considerazione (venendo “sponsorizzato” in passato persino dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, anche se più che altro in antitesi con gli studi di settore). Nel momento in cui si è intervenuti migliorando il redditometro comunque in modo evidente, e conseguentemente la sua “accettabilità” (si veda anche l’esito del nostro sondaggio della scorsa settimana), l’atteggiamento di opinione pubblica e giurisprudenza è mutato in modo radicale, sovvertendo le posizioni precedenti.