15 Aprile 2017

Canoni di locazione: la risoluzione blocca la tassazione

di Lucia Recchioni - Comitato Scientifico Master Breve 365
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I canoni di locazione sono oggetto di tassazione in capo al soggetto persona fisica anche se non effettivamente percepiti.

L’effettiva percezione dei canoni è infatti irrilevante ai fini fiscali, e i canoni sono tassati fino a quando il contratto non sia cessato:

  • per scadenza del termine,
  • per una causa di risoluzione.

A tal proposito può essere richiamata la nota sentenza della Corte Costituzionale 362/2000, la quale stabilì che “il riferimento al canone di locazione (anziché alla rendita catastale) potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico. Quando, invece, la locazione (rapporto contrattuale) sia cessata per scadenza del termine (articolo 1596 cod. civ.) ed il locatore pretenda la restituzione essendo in mora il locatario per il relativo obbligo, ovvero quando si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (articolo 1456 cod. civ.) o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere, tale riferimento al reddito locativo non sarà più praticabile, tornando in vigore la regola generale (tassazione in base alla rendita catastale)”.

Pare quindi evidente, in questo contesto, l’importanza di una clausola risolutiva espressa da indicare nel contratto di locazione, al fine di scongiurare la tassazione dei canoni non effettivamente percepiti.

L’articolo 1456 cod. civ., appunto dedicato alla clausola risolutiva espressa, non richiede inoltre un inadempimento “grave”: anche il pagamento di una singola mensilità potrebbe quindi essere ritenuto sufficiente a comportare la risoluzione del contratto.

La clausola, tuttavia, non ha efficacia automatica: è infatti necessario che la parte interessata dichiari all’altra che intende valersi della clausola risolutiva, inviando apposita raccomandata con ricevuta di ritorno.

Inoltre, ai fini fiscali, deve ritenersi che il contribuente sia tenuto a dimostrare che l’immobile sia stato effettivamente rilasciato dal conduttore: eccezion fatta per quelle rare ipotesi in cui il conduttore liberamente lasci l’immobile a seguito della semplice raccomandata con la quale si comunica la risoluzione del contratto (nel qual caso sarà sufficiente produrre il verbale di rilascio), è quindi comunque necessario attivarsi per ottenere, giudizialmente, un titolo per il rilascio dell’immobile.

Le altre due forme di risoluzione stragiudiziale del contratto (diverse dalla clausola risolutiva espressa) sono le seguenti:

  • la diffida ad adempiere, con la quale una parte può intimare all’altra, per iscritto, l’adempimento della prestazione entro un termine non inferiore a 15 giorni, allo scadere del quale il contratto si intenderà risolto di diritto. È tuttavia da sottolineare che, in questo caso, rileva l’importanza dell’inadempimento, per cui l’altra parte potrà adire il giudice per l’accertamento della scarsa importanza del suo inadempimento,
  • il termine essenziale: ai sensi dell’articolo 1457 cod. civ., il contratto è risolto di diritto per inadempimento se era fissato un termine da considerarsi essenziale nell’interesse della parte.

Anche una semplice diffida ad adempiere, a fronte di un inadempimento di non scarsa importanza, quindi, può “bloccare” le pretese del Fisco.

Tuttavia, anche nel caso in cui sia stata inviata al conduttore una diffida ad adempiere e il contratto si sia successivamente risolto, se quest’ultimo non libera spontaneamente l’immobile sarà comunque necessario ricorrere al giudice per il rilascio.

Infine, se il contratto non è scaduto o non è risolto, i canoni non percepiti sono tassati fino alla data di conclusione del procedimento giudiziale di convalida di sfratto per morosità.

In tal caso il giudice può accertare la morosità anche nei periodi precedenti (per i quali risultano già versate le imposte) ed il locatore può beneficiare di un credito d’imposta.

Il richiamato credito d’imposta è previsto solo nei casi in cui i fabbricati siano dati in locazione per uso esclusivamente abitativo.

Si ricorda, per concludere, che il credito d’imposta in commento è riconosciuto, nei medesimi casi, anche alle imprese, con riferimento ai beni immobili che non costituiscono beni strumentali per l’esercizio dell’impresa, né beni alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa.

I contratti di locazione immobiliare e la disciplina fiscale