8 Marzo 2022

Attività selvicolturale e cessione della legna

di Luigi Scappini
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Tra le varie attività che caratterizzano l’imprenditore agricolo come definito dall’articolo 2135 cod. civ., vi è anche la selvicoltura che, troppo spesso, viene “scambiata” per la mera detenzione di un bosco utilizzato al solo fine di ritrarne legna da vendere.

Nella realtà la selvicoltura, per essere considerata attività agricola ex se, necessita innanzitutto di essere svolta prevedendo al suo interno la cura e lo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria dello stesso.

Inoltre, deve essere esercitata con il preciso fine di preservare le caratteristiche e la biodiversità del bosco.

In tal senso depone anche l’articolo 3 D.Lgs. 34/2018, che alla lettera b) definisce la gestione forestale sostenibile o gestione attiva l’“insieme delle azioni selvicolturali volte a valorizzare la  molteplicità delle funzioni del bosco, a garantire la produzione sostenibile di beni e servizi ecosistemici, nonché  una gestione e uso delle foreste e dei terreni forestali nelle  forme e ad un tasso di utilizzo che consenta di mantenere la loro biodiversità, produttività, rinnovazione, vitalità  e potenzialità di adempiere, ora e in futuro, a rilevanti  funzioni ecologiche, economiche e sociali a livello locale, nazionale e globale, senza comportare danni ad altri  ecosistemi” e alla successiva lettera c) definisce pratiche selvicolturali i tagli, le cure e gli interventi volti all’impianto, alla coltivazione, alla prevenzione di incendi, al trattamento e all’utilizzazione dei boschi  e alla produzione di prodotti forestali spontanei non legnosi.

Resta inteso che lo svolgimento della selvicoltura nel rispetto dei parametri sopra delineati può comunque portare alla vendita del legno.

Proprio di questo tema si è occupata la Corte di Giustizia UE, con la recente sentenza del 03.02.2022, causa C-515/20, in tema di corretta aliquota Iva da applicare alla cessione di legna da ardere.

La legna da ardere, predisposta in tondelli, ceppi, ramaglie o fascine, rientra nella Parte I della Tabella A allegata al D.P.R. 633/1972, con la conseguenza che si rende applicabile, in sede di cessione, l’aliquota Iva ridotta del 10%.

Come noto, l’articolo 122 Direttiva 2006/112/CE prevede la possibilità per gli Stati membri di adottare “un’aliquota ridotta alle cessioni di piante vive e di altri prodotti della floricoltura, compresi bulbi, radici e simili, fiori recisi e fogliame ornamentale, e di legna da ardere”.

La questione verteva sul corretto significato da attribuire all’inciso “legna da ardere e, in particolare, se dovesse essere interpretato ricomprendendovi qualsiasi tipo di legno che, in base alle sue proprietà oggettive, sia destinato esclusivamente alla combustione.

I giudici unionali hanno concluso ritenendo che per “legna da ardere” si debba intendere qualsiasi tipo di legno che, per le sue proprietà oggettive, come il grado predeterminato di essiccazione, è destinato esclusivamente alla combustione.

Infatti, mancando una definizione compiuta di “legna da ardere” nella Direttiva 2006/112/CE, è necessario, da un lato, fare riferimento al significato abituale dell’espressione nel linguaggio corrente, ossia legna destinata a essere bruciata per garantire il riscaldamento di locali pubblici o privati e, dall’altro, ricordare che l’articolo 122 Direttiva 2006/112/CE deroga all’articolo 96, sempre della Direttiva 2006/112/CE e, quindi, soggiace a un’interpretazione restrittiva.

Risolto l’aspetto legato al significato da attribuire alla “legna da ardere”, la Corte si è occupata di verificare l’eventuale possibilità, per uno Stato membro che prevede, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 122 Direttiva 2006/112/CE, un’aliquota Iva ridotta per le cessioni di legna da ardere, di delimitarne l’ambito di applicazione, ai sensi dell’articolo 98, § 3, Direttiva 2006/112/CE, facendo riferimento alla nomenclatura combinata.

La Corte di Giustizia conclude per la possibilità di applicare un’aliquota ridotta solo a talune cessioni di legna da ardere, purché tale facoltà sia esercitata entro i rigorosi limiti della deroga e nel rispetto del principio di neutralità fiscale.

La legna da ardere quindi rientra tra i beni di cui alla Tabella A, Parte I, allegata al D.P.R. 633/1972, con la conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia ceduta da parte di un imprenditore agricolo, si renderà applicabile, salvo facoltà di opzione per il regime ordinario, come previsto dall’articolo 34, comma 11, D.P.R. 633/1972, il regime Iva per l’agricoltura.

Il Legislatore, con l’articolo 1, comma 662, L. 145/2018, ha stabilito che: “Con decreto del Mef, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, da adottare entro il 31 gennaio di ciascun anno ai sensi dell’articolo 34, comma 1, D.P.R. 633/1972, le percentuali di compensazione di cui al medesimo articolo 34, comma 1, applicabili al legno e alla legna da ardere sono innalzate nel limite massimo di spesa di 1 milione di euro annui a decorrere dall’anno 2019”.

Con decreto Mef del 19.12.2021, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 308 del 29 dicembre 2021 lo stesso ha provveduto a prorogare le percentuali di compensazione precedentemente individuate, per il 2020, con D.M. 05.02.2021, per i seguenti prodotti o gruppi di prodotti, compresi nella Tabella A, Parte I, allegata al D.P.R. 633/1972, e nelle seguenti misure:

  • prodotti di cui al n. 43) legna da ardere in tondelli, ceppi, ramaglie o fascine; cascami di legno compresa la segatura (v.d. 44.01) – 6,4%;
  • prodotti di cui al n. 45) legno semplicemente squadrato, escluso il legno tropicale (v.d. 44.04) – 6,4%.

Ne deriva che per la legna da ardere di cui al n. 44) rimane applicabile la percentuale di compensazione individuata nella misura del 2%.