9 Luglio 2018

Associazioni e personale responsabilità del legale rappresentante

di Guido MartinelliMarilisa Rogolino
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La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4478 del 23.02.2018, è tornata sul tema della responsabilità personale, ex articolo 38 cod. civ., del legale rappresentante di una associazione non riconosciuta a fronte di un accertamento fiscale.

Nel merito, il Giudicante di secondo grado aveva rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate che aveva impugnato la sentenza del primo Giudice. Questi aveva accolto il ricorso del contribuente avverso un avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, ex articolo 38 cod. civ., in quanto legale rappresentante di una associazione, nella sua qualità di obbligato solidale, in relazione a maggiori ricavi accertati a carico della associazione per un periodo di imposta.

Nessuna responsabilità era stata quindi ravvisata in capo al legale rappresentante, in quanto si era insediato nella carica in periodo successivo all’anno di imposta accertato.

In tal caso, riteneva il Giudice di appello, era inapplicabile l’articolo 38 cod. civ. in quanto il contribuente si era limitato “a sottoscrivere la dichiarazione dei redditi formati su risultanze contabili immodificabili”.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione.

Deduceva la violazione e falsa applicazione dell’articolo 38 cod. civ. sostenendo che la titolarità formale della carica rappresentativa dell’associazione era sufficiente per ritenere il legale rappresentante obbligato in solido con l’associazione rappresentata.

La Corte richiamava plurime pronunce del Giudice di legittimità che, in materia di responsabilità del legale rappresentante di associazione non riconosciuta, avevano riconosciuto il principio secondo cui “la responsabilità personale e solidale ex articolo 38 cod. civ. di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione trascende la posizione assunta astrattamente dal soggetto nell’ambito della compagine sociale ricollegandosi ad una concreta ingerenza dell’attività dell’ente determinante la creazione di rapporti obbligatori e tale da far ritenere il soggetto coobbligato in solido con l’associazione per le obbligazioni da questa assunte.

La responsabilità personale di colui che ha agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta si riferisce anche ai rapporti extra negoziali e consegue per i debiti di imposta che sorgono ex lege

È noto che chi invoca la responsabilità solidale in relazione a violazioni fiscali ha l’onere di provare il diretto coinvolgimento del rappresentante nelle irregolarità fiscali contestate, non essendo sufficiente la sola prova della carica rivestita all’interno dell’ente.

Secondo il giudizio della Corte  da tale orientamento non è ricavabile  il convincimento che, “in ipotesi di avvicendamento nella carica sociale di associazione non riconosciuta, il rappresentante legale subentrante possa andare esente, ai fini fiscali, da responsabilità solidale con l’associazione  semplicemente adducendo la mancata ingerenza nella concreta gestione dell’ente e ciò considerato il principio di autonomia  del diritto tributario rispetto al diritto civile e della fonte legale dell’obbligazione tributaria“.

Osservava la Corte che la tesi non tiene conto dei poteri che in materia tributaria sono attribuiti al rappresentante fiscale che “non solo è tenuto a redigere e presentare una dichiarazione reddituale fedele, ovvero indicando esattamente i ricavi conseguiti e le spese sopportate dall’associazione che rappresenta, non andando esente da  eventuale responsabilità sanzionatoria, ma anche ad operare, se del caso, le necessarie rettifiche provvedendo, dopo la presentazione, all’emenda delle dichiarazioni fiscali presentate con dati inesatti“.

Ciò che rileva, proseguiva la Corte “ai fini dell’accertamento  della responsabilità personale e solidale del legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta con quest’ultima in materia tributaria è, non solo l’ingerenza di tale soggetto nell’attività dell’ente che rappresenta, ma anche il corretto adempimento degli obblighi tributari sul medesimo incombenti, dovendosi in concreto accertare se il rappresentante, pur non essendosi ingerito nell’attività negoziale dell’ente, abbia comunque provveduto all’espletamento di tutte le verifiche necessarie per il corretto adempimento degli obblighi tributari solo in tal caso potendo andare immune da corresponsabilità”.

Il Giudice di appello, proseguiva il collegio, aveva errato nel ritenere l’irrilevanza della firma della dichiarazione dei redditi riferiti all’anno precedente a quello della sua investitura “sull’erroneo presupposto della immodificabilità delle risultanze contabili“.

Se è pur vero che la verificazione del presupposto di imposta e quindi l’insorgenza dell’obbligazione tributaria è collocato in epoca precedente alla intervenuta successione nella carica è altrettanto vero che al suo verificarsi è correlato l’obbligo di presentazione della dichiarazione, obbligo “differito” all’anno successivo rispetto a quello di percezione del reddito.

La rappresentazione contenuta nella dichiarazione infedele ha efficacia nei confronti di colui che l’ha effettuata. L’attività del subentrante che sottoscrive la “dichiarazione dei redditi dell’anno precedente all’insediamento” riguarderebbe sì l’esistenza di una obbligazione tributaria attuale ovvero persistente, sorta in epoca precedente all’intervenuta successione nella carica, ma è in esecuzione di un obbligo in capo al contribuente che, con la presentazione della dichiarazione, porta a conoscenza del Fisco la realizzazione del presupposto, procede all’autoliquidazione ed al pagamento.

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