25 Giugno 2019

Arriva il taglio dell’accisa per i microbirrifici

di Alberto RocchiLuigi Scappini
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È stato finalmente emanato il D.M. con il quale viene abbattuta l’accisa dovuta sulla birra da parte dei microbirrifici e non solo.

L’articolo 1, commi 689691, L. 145/2018, la cd. Legge di bilancio per il 2019, infatti, ha stabilito, oltre alla riduzione, con decorrenza dal 1° gennaio 2019 dell’aliquota di accisa sulla birra a euro 2,99 per ettolitro e per grado-Plato in luogo dei precedenti 3,02, anche un ulteriore ribasso del 40%, nel caso di birra prodotta dai birrifici artigianali di cui all’articolo 2, comma 4-bis, L. 1354/1962, con una produzione annua non superiore ai 10.000 ettolitri.

Soggetti beneficiari, come detto, sono in primis, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lett. b), D.M. 04.06.2019, i microbirrifici: fabbriche che producono non più di 10.000 ettolitri su base annua.

Inoltre, per essere considerati tali, è necessario:

  • essere legalmente ed economicamente indipendenti da altri birrifici;
  • utilizzare per la produzione impianti “indipendenti” da altri;
  • la birra deve essere il frutto di un processo di lavorazione integrato a partire dalla realizzazione del mosto.

Sono inoltre interessati dal taglio dell’accisa ordinaria, per effetto di quanto previsto dall’articolo 1, comma 3, D.M. 04.06.2019, anche le piccole birrerie nazionali, da intendersi quali fabbriche di birra, regolarmente in possesso della licenza fiscale e che, oltre a possedere i requisiti standard previsti per i microbirrifici, non producono più di 10mila ettolitri.

L’articolo 8, comma 3, D.M. 04.06.2019 estende ulteriormente i soggetti cui si rende applicabile l’accisa ridotta, introducendo anche i soggetti nazionali che hanno immesso al consumo della birra prodotta da  piccoli birrifici unionali, a condizione che la produzione non sia superiore a 10mila ettolitri e sussistano i medesimi requisiti richiesti per i microbirrifici.

Per poter fruire dell’agevolazione è necessario adempiere ad alcuni adempimenti burocratici, in particolare, microbirrifici e piccoli birrifici ogni anno, nel termine del 31 gennaio devono inviare via pec, all’ufficio doganale competente una dichiarazione in cui sono indicati volume della birra presa in carico nel registro della birra condizionata o nel registro annuale di magazzino nell’anno precedente, mentre i soggetti obbligati nazionali, sempre con le medesime modalità, dovranno inviare una dichiarazione riepilogativa dei codici accisa e dei quantitativi di birra immessi al consumo.

Ma i microbirrifici devono rispettare anche altri adempimenti burocratici: tra questi, ad esempio, l’obbligo di dichiarare le tipologie di birra che si producono e relative ricette comprensive dei dosaggi delle materie prime, nonché indicazione dell’acqua utilizzata in ogni singola cotta.

Occorre peraltro ricordare che la produzione di birra rientra nel reddito agrario, in quanto compresa tra le attività connesse di manipolazione e trasformazione elencate nel D.M. 13.02.2015.

Quest’ultimo provvedimento, infatti, sancisce la natura agricola della produzione di malto (Ateco 11.06.0) e birra (Ateco 11.05.0) sempreché ottenuti prevalentemente da prodotti derivanti dalla coltivazione del fondo.

Sul punto, tuttavia, non mancano problemi applicativi di non semplice soluzione.

E infatti, nel calcolo del vincolo della prevalenza dei cosiddetti “prodotti-prodotti”, ossia di quei beni che derivano dall’attività primaria di coltivazione, ci si scontra con il peculiare processo produttivo della birra.

È noto infatti che la birra si ottiene dalla combinazione di acqua e malto d’orzo, con l’eventuale aggiunta anche di altri cereali. Una volta portata a termine la fermentazione e la trasformazione dell’amido, occorre aggiungere il luppolo, una pianta erbacea perenne, la cui coltivazione è diffusa in Germania; molto meno nel nostro Paese.

I birrifici “agricoli”, che si avvalgono prevalentemente o esclusivamente di cereali coltivati per la maltazione, sono in molti casi costretti a ricorrere all’esterno per l’approvvigionamento del luppolo, in quanto non riescono ad autoprodurlo.

Come incide questo acquisto sul rispetto della prevalenza?

Una lettura strettamente coerente con le indicazioni delle due circolari 44 (quella del 2002 sull’Iva e quella del 2004), sembrerebbe portare verso un confronto valoriale: valore prodotto proprio (es., orzo) contro valore del prodotto di terzi (luppolo).

In molti casi, però, l’esito del calcolo potrebbe essere a sfavore del produttore, essendo il luppolo molto più costoso dell’orzo o anche di qualsiasi altro cereale.

Si dovrebbe pertanto giungere a cancellare l’agrarietà della maggior parte dei birrifici, annullando così l’effetto della disposizione contenuta nel D.M. 13.02.2015.

Tuttavia, sulla questione mancano adeguati approfondimenti, sia da parte della prassi che della poca dottrina che si è occupata del sul tema.

E infatti, per tentare di argomentare in modo coerente con la normativa, occorre analizzare sul piano tecnico il processo produttivo e le materie prime impiegate. Si scopre così che il luppolo non è un ingrediente essenziale per la produzione della birra, anche se fondamentale sia per attribuire ad essa sapore, sia per conservarne le caratteristiche nutritive ed organolettiche.

Posta in questi termini la questione, si potrebbe anche affermare che l’aggiunta del luppolo fa parte di quegli elementi “accessori” alla produzione che, intervenendo al termine del processo produttivo, non caratterizzano la prevalenza, la quale va invece verificata confrontando la provenienza delle materie prime utilizzate e trascurando quelle componenti che hanno semplice funzione conservativa, aromatizzante o migliorativa del gusto del prodotto.

Per fare un esempio speculare, a nessuno è mai venuto in mente di considerare la pectina o lo zucchero nel calcolo della prevalenza di prodotti propri nella produzione di marmellate.

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L’impresa agricola: profili civilistici e fiscali