4 Maggio 2023

Applicazione delle sanzioni tributarie: il criterio di proporzionalità

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

La Corte Costituzionale è stata chiamata, da parte della Commissione Tributaria Provinciale di Bari, a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 1, primo periodo e 13, comma 1, D.Lgs. 471/1997 recante la riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione sui tributi.

Le questioni sono sorte nel corso di un giudizio riguardante due avvisi di accertamento nei confronti di una società consolidante, non avendo quest’ultima provveduto alla presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al consolidato fiscale, pur avendo presentato la propria, al pari delle consolidate.

Considerato che con gli avvisi erano state comminate sanzioni pari al centoventi per cento delle imposte accertate, e che la società ricorrente aveva già pagato integralmente le imposte dovute, oltre agli interessi e alle sanzioni ridotte, con ravvedimento operoso posto in essere prima di ricevere gli avvisi impugnati, il Giudice rimettente ha osservato quanto segue.

Sotto un primo profilo, l’Agenzia delle Entrate avrebbe effettuato una iniqua applicazione della norma di cui all’articolo 1, comma 1, primo periodo, D.Lgs. 471/1997, calcolando la sanzione nella misura del centoventi per cento sulle imposte “accertate” e non solo su quelle “ancora dovute”. Inoltre, l’Agenzia non avrebbe ritenuto operante il “ravvedimento operoso”, con violazione del citato articolo 13, comma 1, D.Lgs. 471/1997, perché “a suo dire consentito solo nel caso di omesso o tardivo pagamento delle imposte liquidate nella dichiarazione dei redditi, e perciò incompatibile con l’ipotesi di omessa dichiarazione”.

Per tale ragione, secondo la Commissione Tributaria la prima ipotesi comporterebbe una punizione indiscriminata, senza alcun riguardo all’entità oggettiva e soggettiva della violazione commessa, sottoponendo così al medesimo trattamento condotte diverse tra loro e con conseguenze differenti, ancorando “la sanzione al criterio meramente formale ed estrinseco della omessa presentazione della dichiarazione fiscale, invece che a quello sostanziale dell’ostacolo all’accertamento e della evasione del pagamento dell’imposta”. Per altro aspetto, la disposizione di cui al menzionato articolo 13 sarebbe in contrasto con gli articoli 3, 56 e 76 Cost.nella parte in cui prevede che solo chi abbia presentato la dichiarazione fiscale senza eseguire i prescritti versamenti sia soggetto alla sanzione amministrativa pari al 30% dell’importo non pagato e possa fruire delle riduzioni previste nel caso di versamento spontaneo e non anche chi abbia omesso di presentare la dichiarazione fiscale ma abbia poi effettuato spontaneamente il pagamento delle imposte prima di ricevere un accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria”.

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Giudice rimettente.

Con riferimento all’articolo 13, la Corte ha dichiarato immediatamente l’inammissibilità delle relative questioni, in quanto il Giudice rimettente avrebbe dovuto fare applicazione solo dell’articolo 1, comma 1, primo periodo.

Per quanto riguarda l’articolo 1, la Corte ha indicato la necessità di procedere ad una lettura sistematica della norma con una interpretazione conforme a Costituzione dell’articolo 7 D.Lgs. 472/1997, per ricondurre entro i limiti della proporzionalità e della ragionevolezza la sanzione prevista dall’articolo censurato.

Innanzitutto, la Corte ha evidenziato che, secondo quanto stabilito dalla sentenza n. 13145/2022 della Corte di Cassazione, SS.UU., “l’impianto sanzionatorio non penale nella materia tributaria risponde a uno stampo penalistico”.

Al fine di contemperare l’esigenza dissuasiva perseguita dal Legislatore con il criterio di proporzionalità, la Corte Costituzionale ha sottolineato come una interpretazione dell’articolo 7 conforme al disposto dell’articolo 3 Cost. consenta di riportare la norma censurata in termini “conformi al volto costituzionale del sistema sanzionatorio, consentendo al giudice a quo di ridurla a una misura proporzionata e ragionevole”. Infatti, la lettura del comma 4, in rapporto con il comma 1 del citato articolo, permette di considerare tra le circostanze non più “eccezionali”, che possono dunque determinare il dimezzamento della sanzione, la condotta dell’agente e l’opera da lui svolta per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze.

La Corte ha concluso evidenziando come “l’articolo 7, comma 4, del D.Lgs. n. 472 del 1997 si pone come una opportuna valvola di decompressione che è atta a mitigare l’applicazione di sanzioni, come quella stabilita dalla norma censurata, che, strutturate per garantire un forte effetto deterrente al fine di evitare evasioni anche totali delle imposte, tendono a divenire draconiane quando colpiscono contribuenti che invece tale intento chiaramente non rivelano”.