13 Maggio 2014

Antiriciclaggio: F.A.Q.

di Fabio Pauselli
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La commissione antiriciclaggio dell’Ordine dei Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma ha pubblicato un documento quale raccolta delle risposte fornite ai quesiti inviati dai propri iscritti.

L’elaborato è molto interessante perché analizza alcune casistiche particolari ed evidenzia quelle criticità che, inevitabilmente, appartengono al mondo di tutti quei professionisti soggetti agli obblighi della normativa antiriciclaggio.

In particolare ancora ricorre tra alcuni colleghi il dubbio circa la corretta registrazione nell’archivio unico informatico (o nel registro cartaceo) dei conferimenti d’incarico con compenso determinato inferiore ai 15.000 €. A tal fine si ricorda che ai sensi dell’art. 36 del D.L. 231/2007 i professionisti, con riferimento alle operazioni di valore determinato o determinabile, devono registrare le informazioni concernenti le prestazioni professionali aventi ad oggetto mezzi di pagamento, beni o utilità di importo pari o superiore a 15.000 € ovvero le prestazioni professionali occasionali che comportino la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15.000 euro, a prescindere dal fatto che siano effettuate con un’operazione unica o con più operazioni che appaiono “collegate” o “frazionate”.

Pertanto il parametro che deve contraddistinguere un’operazione per essere soggetta o meno agli obblighi di registrazione è il valore determinato/determinabile della prestazione professionale che si sta erogando, e non il compenso spettante al professionista per l’assistenza prestata. Di conseguenza, tutte le prestazioni professionali aventi un valore indeterminato (si pensi alla tipica attività di consulenza societaria e fiscale continuativa, la quale per definizione ha un valore indeterminabile) devono essere annotate all’interno dell’archivio unico. In tal senso anche la posizione dell’Ordine di Roma appare netta: rispondendo ad un quesito di un professionista circa la necessità di censire o meno le parti di un contratto preliminare avente un valore superiore a 15.000 € per un valore della prestazione professionale di poche centinai di euro, conferma che l’adeguata verifica della clientela è obbligatoria in quanto il valore complessivo della pratica si riferisce all’operazione di compravendita (> 15.000 €) e non al compenso percepito dal professionista.

Ulteriore nota dolente della normativa antiriciclaggio è la questione del titolare effettivo, la quale, come noto, oramai interessa anche gli aspetti dichiarativi (monitoraggio fiscale e quadro RW). Rispondendo a un quesito circa le modalità per la corretta individuazione del titolare effettivo in assenza di percentuali di possesso superiori al 25% del capitale sociale, l’Ordine di Roma ha ribadito che il titolare effettivo coincide con la persona fisica, o le persone fisiche che, in ultima istanza possiedono o esercitano il controllo diretto o indiretto sul cliente. In base alle definizioni dell’Allegato tecnico del D.L. 231/2007, il controllo ricorre comunque per tutte le persone fisiche che hanno il possesso diretto o indiretto di una percentuale superiore al 25% del capitale sociale o dei diritti di voto nella società. Se una percentuale superiore al 25% del capitale o dei diritti di voto è controllata da un soggetto non persona fisica, il titolare effettivo deve essere individuato, risalendo lungo la catena partecipativa, nella persona fisica o nelle persone fisiche che, in ultima istanza, esercitano il controllo su tale soggetto. Qualora la percentuale dei diritti di voto in misura superiore al 25% sia detenuta da più soggetti, è evidente che il predetto criterio di individuazione del titolare effettivo rilevi con riguardo a ciascuno dei citati soggetti. Viceversa, nel caso in cui nessun soggetto persona fisica raggiunga direttamente o indirettamente il limite del 25%, è necessario attenersi alla dichiarazione del legale rappresentante oppure il titolare effettivo, come suggerito dall’allegato al provvedimento di Banca d’Italia del 03/04/2013 per gli intermediari finanziari, potrà rinvenirsi in uno o più soggetti preposti all’amministrazione della società, in considerazione dell’eventuale influenza esercitata da questi sulle decisioni riservate ai soci.

Si segnala infine un caso ancora dibattuto in dottrina e in giurisprudenza, circa il comportamento da adottare in merito alla segnalazione o meno di quei clienti che in sede di Unico presentano importi per imposte non pagate prossimi o superiori alle soglie penalmente rilevanti. L’Ordine di Roma evidenzia come l’effettivo superamento delle soglie penalmente rilevanti previste per i differenti comparti delle imposte, deve essere valutato come uno degli elementi da tenere in considerazione al fine della profilatura del rischio di riciclaggio. In sostanza l’eventuale effettuazione della segnalazione quale operazione sospetta da parte del professionista dovrà tenere conto del complessivo quadro emergente del profilo del rischio riciclaggio del cliente.

Trattasi di un argomento alquanto delicato alle cui stesse conclusioni, in sostanza, perviene anche il Notariato con lo Studio n. 261/2013. Questi approfondisce in maniera molto esaustiva gli obblighi a cui sono soggetti i propri iscritti; obblighi che, fatte le dovute differenze, possono riguardare una vasta platea di professionisti. Per quanto di nostro interesse in questa sede, rimandando ad una lettura approfondita del documento, il Notariato evidenzia che il D.Lgs. 74/2000 attiene alle imposte dirette e all’IVA non potendosi, quindi, ravvisare attività criminose in presenza di evasione concernente l’IRAP e le imposte indirette diverse dall’IVA. Inoltre viene affermato che il “sospetto” per assumere rilevanza ai fini della normativa antiriciclaggio non deve essere riferito esclusivamente al “reato tributario”, bensì al “riciclaggio” di beni provenienti da quella particolare specie di attività criminosa rappresentata dalla violazione di obblighi fiscali penalmente sanzionati, presupponendo, con i dovuti limiti, uno “screening” del cliente a 360°. Infine si da atto di quei dubbi che parte della dottrina ha espresso al riguardo, secondo cui non è configurabile la possibilità che una somma di denaro possa provenire da un’attività di evasione fiscale, dal momento che quest’ultima di per sé no genera proventi, limitandosi soltanto a determinare un risparmio fiscale su una ricchezza.