19 Settembre 2016

L’antieconomicità ai fini IVA è conseguenza di altri rilievi

di Chiara RizzatoSandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
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Tra il novero delle contestazioni promosse dall’Agenzia delle entrate assumono rilevanza quelle sull’antieconomicità, le quali vengono utilizzate per rettificare la posizione del contribuente.

La legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. 600/1973, come cita la sentenza della Cassazione n. 7838/2015, non viene esclusa anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette, nel caso in cui la stessa contabilità possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri di ragionevolezza anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento del contribuente, potendo, in tali casi, l’Ufficio Finanziario dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, in forza di presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, la presenza di maggiori ricavi o minori costi.

Sui rilievi attestanti tale tipologia di comportamenti è necessario citare degli aspetti che sovente si manifestano, ovverosia la loro estensione anche in campo IVA ed in particolare, come conseguenza, il raffronto con la validità della detrazione operata. Risulta infatti che l’IVA venga rettificata a seguito di rilevazioni effettuate sull’antieconomicità, la quale risulta però essere attribuita esclusivamente all’imposizione diretta. L’orientamento giurisprudenziale infatti risulta essere conforme a quanto precedentemente affermato, ovverosia è stato più volte confermato che non è possibile adottare per l’IVA quanto presente nell’imposizione diretta con riguardo al tema dell’antieconomicità. Si esclude quindi, anche nella recente sentenza della Cassazione n. 15621/2016, che i principi espressi in tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa vengano applicati direttamente ed automaticamente all’IVA, a ciò ostando la particolare natura del tributo, informato al principio di neutralità, il quale induce a privilegiare quanto l’acquirente ha pagato o si è impegnato a pagare. Il concetto sopra enucleato viene descritto in maniera più specifica nella sentenza della CTP Reggio Emilia del 16.06.14. Il rilievo sull’antieconomicità può essere mosso solamente in caso di operazioni inesistenti, ma se la contabilità è formalmente corretta, l’IVA non è inclusa nel principio richiamato nella parte iniziale del presente contributo: “in materia di accertamenti che derivano da comportamenti ritenuti antieconomici, se l’Agenzia delle entrate vuole rappresentare che si è in presenza di evasione per effetto della deduzione di spese antieconomiche deve darne la prova attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti. Le presunzioni fondate sull’antieconomicità non consentono la rettifica ai fini IVA in assenza di un’espressa contestazione di inesistenza dell’operazione. Gli Uffici, quindi, possono contestare, al limite, le violazioni delle imposte dirette, ma non dell’IVA, ed il principio, secondo cui il comportamento dell’imprenditore può celare operazioni evasive e quindi legittima l’Amministrazione finanziaria ad accertare un maggior reddito anche in assenza di irregolarità formali nella contabilità, non si estende all’IVA”.

La contestazione IVA effettuata per comportamenti antieconomici, da come si evince, non si configura in un’operazione basata su rilevazioni antieconomiche pure, ma è più che altro collegata ad altri fattori accertabili, come la veridicità della fattura stessa. Risulta opportuno chiarire il significato di queste ultime affermazioni attraverso la pronuncia della Cassazione n. 22130/2013, la quale appunto stabilisce che il diritto alla detrazione dell’imposta, in ragione di costi antieconomici sostenuti dal contribuente, ispirato al criterio della neutralità, in base al quale ogni fornitore o prestatore di servizio che abbia corrisposto l’IVA può detrarla dai costi sostenuti ed interrompendosi il meccanismo allorché il bene o il servizio siano resi al consumatore finale, va escluso:

  • ferma la non immediata applicazione dei principi espressi con riguardo all’imposizione diretta;
  • se l’Amministrazione finanziaria dimostri l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, che assume rilievo quale indizio di non verità della fattura, e, dunque, di non verità dell’operazione stessa o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA.

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