4 Luglio 2015

Ancora sulla legittimità dei rimborsi chilometrici agli associati

di Comitato di redazione
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Abbiamo già scritto su queste pagine, sia come Comitato di Redazione sia come singoli autori, in merito al tema della contrastata deducibilità dei rimborsi spese che le associazioni professionali erogano ai singoli partecipanti che, in occasione di trasferte di lavoro, utilizzano mezzi personali per lo svolgimento dell’incarico.

Torniamo sull’argomento per due precisi motivi:

  • da un lato, il fatto che ci giunge notizia da colleghi che sono numerose, proprio in queste settimane, le contestazioni avanzate in differenti regioni d’Italia in merito alla indeducibilità di tali costi;
  • dall’altro, la volontà di segnalare una sorta di spiraglio che sembra essere maturato in sede di contraddittorio con l’Agenzia, proprio in relazione ad uno di questi avvisi di accertamento.

In sole tre righe riepiloghiamo la vicenda per chi non avesse letto i precedenti interventi.

A mente dell’Amministrazione finanziaria, lo studio associato non potrebbe dedurre i costi che il singolo associato addebita per costi chilometrici percorsi con il proprio mezzo, in quanto non sarebbe applicabile il disposto dell’articolo 95 del TUIR per il semplice fatto che il socio non è amministratore di una società (in altre contestazioni si legge addirittura che lo studio associato dovrebbe acquistare in proprio i mezzi, in altri ancora che sarebbe al limite applicabile la limitazione del 20% dettata dall’articolo 164 del TUIR).

Su quanto scritto tra parentesi sorvoliamo, in quanto si tratta di pure schegge di follia.

In merito alla contestazione sulla inapplicabilità dell’articolo 95 siamo invece pienamente concordi con l’Agenzia, pur giungendo a conclusioni differenti; infatti, non vi è alcun bisogno di scomodare l’articolo 95 del TUIR, posto che lo stesso articolo 54 afferma che il reddito di lavoro autonomo è determinato come differenza tra i compensi incassati e le spese sostenute. Ovviamente, aggiungiamo, le spese debbono essere inerenti.

Troviamo dunque sterile poggiare il confronto su questioni che siano diverse da quella, basilare, della riconducibilità delle trasferte allo svolgimento di incarichi professionali.

Ecco allora che vi possiamo dare conto di quanto sta accadendo in sede di confronto con l’Agenzia, a seguito della attivazione di un accertamento con adesione su una vicenda perfettamente aderente a quella di cui si parla.

Prima di presentarsi all’incontro, si è chiesto al cliente di raccogliere tutta la documentazione possibile che potesse:

  • dimostrare l’effettività della trasferta per la quale si sia richiesto il rimborso chilometrico;
  • comprovare che, in relazione a quella trasferta, si è prodotto un compenso in capo allo studio associato;
  • raccogliere dichiarazioni di terzi o riepilogare circostanze inconfutabili che possano ulteriormente appesantire la credibilità della trasferta.

Fortunatamente il cliente è persona precisa e pignola e, per ulteriore fortuna, svolge una professione tecnica che spesso lo pone a confronto con enti pubblici territoriali.

Si presenta allora in studio con faldoni perfettamente raccordati con i prospetti dei rimborsi spese, incrocia pedaggi del telepass, indica le fatture con le quali si sono addebitati i compensi per quel lavoro, esibisce pratiche presentate a pubblici uffici in relazione a questa o quella trasferta e, soprattutto, produce svariate dichiarazioni di terzi soggetti che confermano la sua presenza in un dato luogo.

Tanto di cappello!

Ci si presenta al contraddittorio e, portando il discorso sull’inerenza, si richiede al funzionario, a suo piacimento, di selezionare una qualsiasi trasferta tra quelle i cui costi per rimborsi sono stati contestati.

Ci si prova una volta, ed ecco che compare un malloppo di documenti “modello fisarmonica”.

Ci si prova ancora e la risposta è una ulteriore valanga di carte.

Dopo ulteriori tentativi, il funzionario chiede di lasciare il tutto presso l’Ufficio, in quanto si rende necessario rimeditare la vicenda.

Allora forse abbiamo trovato la chiave di volta per risolvere il problema dei rimborsi:

  • evitare di utilizzare il rimborso chilometrico come variabile di risparmio fiscale;
  • predisporre appositi prospetti dai quali risulti in modo inequivoco la destinazione dello spostamento ed il legame con una pratica o con un cliente abituale;
  • conservare il maggior numero di pezze giustificative, debitamente ordinate, al fine di poter contrastare eventuali richieste da parte dell’ufficio.

Così facendo, si dimostra l’inerenza della spese e non vi dovrebbero essere problemi per poter dedurre con tranquillità tali poste.

Ovviamente vale il contrario: somme erogate in modo indistinto, magari di importo ricorrente e senza che vi sia la possibilità di dimostrare la necessità della trasferta risulteranno una facile preda per il verificatore, senza che nemmeno l’articolo 95 del TUIR possa svolgere alcuna funzione lenitiva!

 

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