15 Febbraio 2021

Anatocismo e adeguamento alla delibera Cicr del febbraio 2000

di Francesca Dal Porto
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È assai frequente verificare, nei rapporti di conto corrente bancario intercorsi prima del 01.07.2000, l’applicazione del regime della capitalizzazione trimestrale per gli interessi a debito e del regime della capitalizzazione annuale per gli interessi a credito.

A partire dal 01.07.2000, in adeguamento alla Delibera Cicr del 9 febbraio 2000, è cambiato il regime di capitalizzazione degli interessi a credito diventando trimestrale, come quello relativo agli interessi a debito la cui capitalizzazione aveva già tale periodicità.

Per i contratti sorti prima dell’entrata in vigore di tale Delibera, è importante capire se tale modifica rappresenti un trattamento migliorativo o peggiorativo per il correntista: infatti, a seconda del diverso inquadramento, l’articolo 7 della Delibera prevedeva un diverso onere per la Banca circa le modalità da adottare per informare il correntista del nuovo regime.

Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali avessero comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30 giugno 2000, avrebbero dovuto provvedere all’adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Nel caso in cui invece le nuove condizioni contrattuali avessero comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse avrebbero dovuto essere espressamente approvate dalla clientela.

Ancora oggi molte controversie che hanno ad oggetto l’anatocismo bancario, in relazione a rapporti sorti ante la Delibera Cicr del febbraio 2000, si trovano ad affrontare la questione.

Se si considera di dover confrontare il nuovo regime (capitalizzazione trimestrale per gli interessi a debito e per quelli a credito rispetto al precedente effettivamente applicato, che prevedeva la capitalizzazione trimestrale solo per gli interessi a debito e la capitalizzazione annuale per quelli a credito), non ci sono dubbi che l’adeguamento sia migliorativo.

Infatti, in ipotesi di un rapporto commerciale a spese zero, in regime di capitalizzazione annuale si ha:

TAN 3% = TAE 3%

Dove il TAN è il tasso annuo nominale e il TAE è quello effettivo.

Quindi, ad esempio, a fronte di un TAN a credito del 3%, il TAE a credito rimane del 3%.

Quando la cadenza dell’accredito in conto degli interessi (capitalizzazione) non è annuale, ma si basa su frazioni di anno (mensile, bimestrale, trimestrale, semestrale etc.), la remunerazione effettiva per il correntista (costo per la banca) non è pari al TAN ma è superiore e pari al TAE (Tasso Annuo Effettivo).

Il TAE rappresenta il costo proiettato su base annuale di un’operazione finanziaria che, per come è strutturata, prevede una capitalizzazione infra-annuale degli interessi.

Nel caso di capitalizzazione trimestrale, a fronte di un TAN a credito del 3%, in regime di capitalizzazione composta trimestrale, il TAE sarà pari al 3,0339% quindi ad un tasso maggiore del TAN.

Capitalizzazione trimestrale:

TAN 3% = TAE 3,0339%

È pacifico quindi che, a parità di trattamento dell’interesse a debito in capitalizzazione trimestrale pre e ante 01.07.2000 e quindi a parità di TAE a debito, la modifica del regime di capitalizzazione dell’interesse a credito da annuale a trimestrale comporta un vantaggio per il correntista, visto che il TAE a credito diventa più elevato.   

Dimostrata quindi la natura migliorativa della modifica, per la Banca è sufficiente dimostrare di aver dato notizia dell’adeguamento al nuovo regime, di cui alla delibera in analisi, mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

La giurisprudenza contraria a tale impostazione parte dal fatto che le condizioni ante 01.07.2000 non prevedevano la capitalizzazione trimestrale a debito visto che la dichiarazione di nullità della clausola di capitalizzazione, ante 01.07.2000, ne ha di fatto determinato l’inefficacia ex tunc, per cui il contratto deve ritenersi sorto in assenza di tale pattuizione.

In particolare, la Suprema Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 27769/2019 del 30/10/2019 ha fornito una importante interpretazione in materia di anatocismo sui contratti di conto corrente sottoscritti precedentemente all’entrata in vigore della Delibera Cicr del 09.02.2000.

La Corte di Cassazione ha chiarito che, se prima dell’entrata in vigore della Delibera Cicr, ovvero prima del 9 febbraio 2000, “ la clausola di capitalizzazione degli interessi è affetta da nullità, sembra difficile negare che l’adeguamento alle disposizioni della delibera Cicr delle condizioni in materia figuranti nei contratti già in essere (…) non determini un peggioramento delle condizioni contrattuali (…) con la conseguenza che, non essendo stata approvata, l’operata variazione contrattuale (…) è inefficace nei suoi confronti e non impedisce la nullità di dispiegare ogni suo più ampio effetto con riguardo all’intera durata del rapporto.”

Ciò significa in maniera inequivocabile che la modifica introdotta deve considerarsi peggiorativa per il correntista, visto che introduce un regime di capitalizzazione dell’interesse a debito prima assente: ne consegue la necessità di acquisire il consenso scritto da parte del cliente, pena la “nullità della clausola”.

Ancora la Corte di Cassazione con Ordinanza del 12 marzo 2020, n.7105 ha affermato che la sostituzione della reciproca capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e passivi, all’assenza di capitalizzazione per effetto della declaratoria di nullità della clausola contrattuale anatocistica, comporta un peggioramento delle condizioni in precedenza applicate al conto corrente, sicché è necessario un nuovo accordo espresso fra la banca e il cliente.

Sembra pacifico l’indirizzo della Suprema Corte: il nuovo regime di capitalizzazione in adeguamento alla Delibera Cicr del febbraio 2000 rappresenta un evidente peggioramento delle condizioni contrattuali precedentemente applicate al conto corrente; sicché, proprio in applicazione dell’articolo 7, comma 3, della delibera sarebbe stato necessario un nuovo accordo espresso tra le parti, non essendo ammissibile un adeguamento unilaterale.