12 Marzo 2019

Analisi dell’inerenza in caso di separazione di regimi tra azienda e agriturismo

di Luigi Scappini
Scarica in PDF

Come noto, con la riforma del 2001, il Legislatore ha introdotto una figura di imprenditore agricolo moderno che non si limita più alla semplice produzione ma si presenta sul mercato come soggetto polivalente in grado di offrire non solo beni ma anche servizi.

In tale contesto di agricoltore multiattività si innesta l’attività agrituristica, che si pone come obiettivo quello di valorizzare il territorio regionale sfruttando appieno la struttura aziendale.

Resta inteso che tale attività, che si innesta in un contesto agrario in quanto deve essere esercitata da un soggetto che in via principale svolge attività agricole (coltivazione del fondo, selvicoltura e allevamento di animali) mantiene comunque le sue caratteristiche proprie di commercialità, e solamente al rispetto di determinati parametri, per finzione giuridica, assume, da un punto di vista civilistico, la veste di attività connessa a quelle agricole.

Tale caratteristica di attività che nasce come commerciale e che solamente per una finzione giuridica assume la veste di attività connessa a quelle agricole, si manifesta nella sua pienezza se l’analisi si sposta sugli aspetti fiscali.

Per quanto riguarda la fiscalità diretta, l’attività agrituristica produce, a prescindere dal veicolo giuridico con la quale la si esercita, un reddito di impresa che può fruire, salvo scelte in senso diverso, di una tassazione forfettaria in misura pari al 25% del volume d’affari generato, come previsto dall’articolo 5 L. 413/1991.

Il regime, del resto, ripropone quanto previsto per le prestazioni di servizi in generale dall’articolo 56-bis, comma 3, Tuir, ma con una differenza sostanziale: il regime previsto per le attività agrituristiche si rende applicabile anche per le società di persone (intese quali Snc e Sas), a differenza di quanto previsto dall’articolo 56-bis, comma 4, Tuir per le prestazioni di servizi generiche.

Anche per quanto riguarda l’Iva, l’articolo 5 L. 413/1991 ricalca quanto previsto per le prestazioni di servizi generiche dall’articolo 34-bis D.P.R. 633/1972, stabilendo una detrazione forfettizzata in misura pari al 50% dell’Iva a debito generata.

Si viene a determinare, nel caso dell’Iva, una sorta di doppio binario, in quanto l’attività agricola principale seguirà regole Iva differenti e in tal senso si è espressa di recente anche la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 12729/2018 ribadendo che “Se è vero che l’articolo 5, L. 413/1991 disciplina in via autonoma e indipendente ai fini fiscali l’attività agrituristica e quella alberghiera, in disparte dal fatto che sia unica la partita Iva anche per l’attività agricola, è possibile per il contribuente conservare per l’attività agricola il regime forfettario ordinario, opzione naturale che non consente la detrazione analitica, e per l’attività agrituristica il regime ordinario; dunque, il regime fiscale può essere unico o meno a seconda del mancato esercizio dell’opzione o della sua scelta da parte del contribuente.”.

In tal modo si origina un doppio binario in quanto possono sussistere, in capo al medesimo soggetto, due differenti regimi Iva che comportano l’obbligo di separazione delle contabilità ex articolo 36 D.P.R. 633/1972.

I differenti regime Iva comportano distinte modalità di detraibilità dell’imposta con la conseguenza che possono sorgere contenziosi per quanto attiene, ad esempio, i costi relativi agli immobili per mezzo dei quali viene svolta l’attività agrituristica.

Di questi temi si è interessata anche di recente la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 5954/2019 avente proprio a oggetto “l’inerenza dei costi all’attività agrituristica e non a quella agraria, donde una errata contabilizzazione dei costi che non potevano essere portati a deduzione, considerando altresì non detraibile l’Iva assolta per tali costi, non inerenti l’impresa agraria”.

In altri termini, a parere dell’Agenzia delle entrate, l’immobile adibito ad agriturismo non può che essere ricondotto tra i beni dell’impresa agrituristica che, avendo optato per il regime di cui all’articolo 5 L. 413/1991, si vede forfettizzati i costi deducibili (nel limite del 75% di quelli sostenuti) e soprattutto l’Iva.

La Suprema Corte, dopo aver evidenziato l’autonomia sussistente tra categoria catastale di un fabbricato, destinazione urbanistica ed edilizia impressa e regime fiscale dei contratti connessi, evidenzia che “… il criterio guida resta il principio dell’inerenza dei costi con l’attività di impresa, quale disegnata dall’ampia discrezionalità di cui gode l’imprenditore. È quindi un giudizio di collegamento logico quello che viene richiesto prima ai verificatori e poi al giudice tributario da rendersi oggettivo tramite un logicamente argomentato bilanciamento delle emergenze probatorie.”.

Del resto, sempre la Suprema Corte sottolinea come la possibilità concessa all’imprenditore di gestire due differenti attività sugli stessi beni (il fondo e i corpi di fabbrica) strutturandoli in due aziende divise tra di loro, a cui si rendono applicabili regimi contabili e tributari (sia imposte dirette sia Iva), “impedisce ogni automatica sovrapposizione e richiede l’analisi dell’inerenza dei costi sostenuti, non tanto sul bene, ma sul (a favore del) l’impresa”.

La legislazione vitivinicola