25 Novembre 2017

Alla Consulta soglie di punibilità e reati di dichiarazione fraudolenta

di Valeria Nicoletti
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A poco più di due anni dall’emanazione del D.Lgs 158/2015 che ha modificato il D.Lgs 74/2000 i reati tributari tornano all’attenzione della Corte Costituzionale.

Nello specifico con l’ordinanza del 13 luglio 2017, pubblicata sulla G.U. n. 43 dello scorso 25 ottobre, la Sez. II, del Tribunale di Palermo ha sollevato questione di legittimità costituzionale – sotto il profilo della manifesta irragionevolezza nonché per violazione degli articoli 3, 76 e 77 della Costituzione – dell’articolo 2 D.Lgs. 74/2000 (nella formulazione post D.Lgs. 158/2015) nella parte in cui non esclude – a differenza di quanto invece previsto dall’articolo 3 D.Lgs. 74/2000 – la punibilità della condotta in presenza di soglie di punibilità.

L’eccezione si basa sull’assunto di una sostanziale omogeneità tra il reato di “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” (articolo 2 D.Lgs. 74/2000) e quello di “Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici” (articolo 3 D.Lgs. 74/2000).

L’ipotesi di cui all’articolo 2 si differenzierebbe sia strutturalmente che funzionalmente da quella dell’articolo 3, non per la natura del falso ivi contemplato, ma per il rapporto di specialità reciproca (e non di sussidiarietà) intercorrente tra le due norme.

Ai fini del reato ex articolo 2 D.Lgs. 74/2000, la nozione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti attiene sia all’inesistenza dell’operazione economica (oggettiva o soggettiva, totale o parziale) sia alla natura del documento che deve essere costituito da una fattura o altro documento avente rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie.

Secondo questa impostazione, in un giudizio di comparazione, il reato di cui all’articolo 3 troverebbe applicazione quando, per l’indicazione di elementi passivi fittizi, non ci si avvale delle fatture e degli altri documenti aventi un contenuto probatorio analogo, ma si pongono in essere gli altri artifici descritti irriducibili, secondo la nuova formulazione dell’articolo, ad un mero mendacio contabile.

Pertanto, “sarebbe soltanto l’efficacia probatoria (declinata sulla falsariga delle norme tributarie) del documento utilizzato per la dichiarazione fraudolenta l’elemento specializzante volto a qualificare la fattispecie incriminatrice descritta dall’art. 2 e, al contempo, a tenerla distinta da quella prevista dall’art. 3 del D.Lgs. n. 74/2000”.

La sostanziale omogeneità tra le norme in esame si ricaverebbe, inoltre, dalla sovrapposizione delle definizioni di “operazioni inesistenti” (articolo 2 D.Lgs. 74/2000) e “operazioni simulate” (articolo 3 D.Lgs. 74/2000); sul punto il Tribunale di Palermo riportandosi all’interpretazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione (cfr. Relazione n. III/05/2015 del 23 ottobre 2015) afferma che “la sovrapposizione “andrebbe decifrata nel senso di non ravvisare differenza alcuna tra operazioni simulate ed apparenti, la cui riconducibilità all’art. 2 o all’art. 3 del D.Lgs. n. 74/2000 dipenderebbe esclusivamente dalla sussistenza o meno del documento contabile nonché dalla eventuale copertura cartolare offerta dalla fattura”.

Sulla base della sostanziale identità tra la fattispecie in esame, accomunate da una struttura bifasica e riconducibili all’unico genus della frode fiscale (cfr. Relazione n. III/05/2015 del 28 ottobre 2015), il Tribunale ritiene che la differenziazione sanzionatoria derivante dalla previsione nell’articolo 3 D.Lgs. 74/2000 di determinate soglie di punibilità si presta a generare una irragionevole disparità di trattamento non giustificata da specifiche esigenze repressive, ritenendo che le condotte ivi previste possano rappresentare per l’interesse dell’Erario un pericolo concreto non inferiore rispetto alle operazioni punite dall’articolo 2 D.Lgs. 74/2000.

Infatti, la scelta delle soglie di punibilità, come elemento costitutivo del reato, se pur rimessa alla discrezionalità del Legislatore, non può sfuggire al canone della ragionevolezza, che impone di non differenziare, in assenza di giustificate istanze punitive, il trattamento sanzionatorio di comportamenti di eguale gravità.

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