19 Marzo 2014

Alcune riflessioni sulla disciplina degli enti non commerciali

di Guido Martinelli
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Mi sono chiesto se anche per le associazioni fosse necessario prevedere un capitale sociale. Credo che, a questa domanda, le risposte possibili siano diverse ma tutte legate ad una visione aziendalistica del problema (qualcuno farà riferimento al c.d. “fondo sociale”, qualcun altro al patrimonio da devolvere, ecc.).

Vorrei cercare, invece, con voi una risposta “metagiuridica” leggendo insieme l’ormai famoso comma otto dell’art. 148 del Tuir (dove, come è noto, sono collocati i principi cui devono uniformarsi gli statuti delle associazioni che intendano decommercializzare i proventi specifici per servizi resi ad associati); che, già al punto a), prevede, tra gli altri, il divieto di distribuire “fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione“.

L’aspetto più curioso lo rileviamo, invece, dalla lettura del punto f) laddove viene prevista la: intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa”.

Intrasmissibilità della quota comporta, come lettura conseguente, che esiste un capitale sociale suddiviso in quote di possesso? La possibilità che questo accada, “mortis causa”, potrebbe significare che io mi possa vedere arrivare in assemblea l’erede dell’associato defunto che mi chieda di partecipare ai lavori quale possessore di una quota “conseguita per eredità?”.

Ma, addirittura, esiste il divieto di rivalutare queste quote. Mi chiedo, ma questa possibilità, per doverla vietare, esiste? Le associazioni che non intendono avvalersi delle agevolazioni previste dalla norma in esame (e ce ne sono) potrebbero in astratto rivalutare … cosa? Forse a questa domanda la risposta non potrebbe che essere il capitale sociale le cui quote sono incedibili se non per causa di morte e non sono rivalutabili. Qualcuno osserva che le associazioni non hanno il capitale sociale? L’ho sempre sostenuto anch’io ma …. come spieghiamo allora la lettera f) del comma otto dell’art. 148 del Tuir?

Ma questa norma ha al suo interno altri aspetti degni di attenzione. Se la lettera d) del già citato comma otto prevede l’obbligo della approvazione annuale del rendiconto economico – finanziario, il precedente punto c) prevede per gli associati il diritto di voto solo per: “l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione”. Questo significa che i soci non hanno l’obbligo di approvare il bilancio?

Spostiamoci di un paio di articoli e arriviamo al quarto comma dell’art. 149. Viene specificato che le disposizioni sulla perdita della qualifica di ente non commerciale, in presenza di incassi di tale natura prevalenti, non si applichino alle associazioni sportive dilettantistiche. Ciò vorrebbe dire che, anche se e ove in sede di accertamento venisse contestata la non congruità dello statuto ai fini dell’applicabilità delle agevolazioni di cui al già citato art. 148 con conseguente recupero impositivo dei corrispettivi sulle prestazioni agli associati, comunque, per la rimanente attività (ad esempio applicabilità dell’art.67 primo comma lett. m sui compensi) il comportamento della sportiva dovrebbe essere considerato legittimo. Perché questo non avviene mai?

Una nota conclusiva legata alla inclusione dei “premi” tra i riconoscimenti erogati da associazione e società sportive a tesserati ai sensi di quanto previsto della nota disciplina di cui all’art. 67 primo comma lett. m).

Il meccanismo è noto, fino a euro 7.500 annui nessuna ritenuta, per gli importi superiori ritenuta del 23% oltre addizionali. Ma qual è il problema. Se e ove l’importo del premio sia in denaro, l’applicazione della disciplina appare priva di difficoltà.

Ma credo che sia a tutti noto che nella grandissima maggioranza di “gare sportive” il premio sia in natura.

Qui iniziano le difficoltà. Infatti, correggetemi se sbaglio, l’organizzatore della manifestazione dovrà, in via preliminare, quantificare il valore del premio, successivamente darne comunicazione al vincitore (e già il gesto mi sembra di scarsa eleganza), acquisire ulteriormente dichiarazione del “premiando” circa il superamento o meno della già indicata soglia di esenzione fiscale.

Ove si rimanesse al di sotto di tale soglia, l’unico problema rimasto sarebbe quello di raccogliere i dati del premiato per poterlo inserire nella dichiarazione dei sostituti di imposta e poi, finalmente, consegnare il premio.

Ma il problema nasce nel caso in cui il vincitore abbia già superato il fatidico limite o lo superi con il valore del premio assegnato. Perché qui l’unica strada sembrerebbe quella di farsi dare dal vincitore, prima di procedere alla consegna, il controvalore monetario della ritenuta che dovrà successivamente essere versata.

Qualcuno forse sta sorridendo, ma è benvenuto chi mi saprà indicare una strada con meno ostacoli di questa. Così terminerò e di questo faccio il mio outing personale, di “dimenticarmi” quando parlo con i miei clienti, di ricordare loro la norma sui premi …….