20 Settembre 2021

Alcune problematiche fiscali delle Federazioni e degli enti di promozione sportiva

di Guido Martinelli
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La scheda di FISCOPRATICO

Se gli aspetti fiscali inerenti le associazioni e società sportive dilettantistiche appaiono da tempo all’attenzione dei commentatori, non altrettanto accade per quelle che sono le Federazioni sportive nazionali, discipline sportive associate ed enti di promozione sportiva.

Se, per le prime due fattispecie, nessun dubbio sulla veste di ente non commerciale nella loro qualità di associazioni con personalità giuridica di diritto privato che non hanno come oggetto sociale lo svolgimento di attività commerciali, nel caso degli enti di promozione sportiva questi hanno tutti anche la natura di associazioni di promozione sociale e, pertanto, dovranno essere considerati enti del terzo settore.

Qui partiamo da una prima considerazione.

Visto che la L. 398/1991, dal momento in cui entrerà in vigore il titolo X del codice del terzo settore, si applicherà solo alle associazioni e società sportive dilettantistiche che siano iscritte al registro Coni, tutti gli enti affilianti riconosciuti dal Coni da quel momento (che, comunque, ad oggi difficilmente appare preventivabile prima del 1° gennaio 2023) non potranno più applicare la citata disposizione.

Ma il problema di maggior rilievo sembra essere quello del tesseramento e, di conseguenza, il trattamento fiscale conseguito da tale attività nonché quello dei proventi dei corsi di formazione dei tecnici.

Il tema appare rilevante perché, sempre dalla data di entrata in vigore della parte fiscale del codice del terzo settore, solo le società e associazioni sportive dilettantistiche non iscritte al Runts potranno continuare ad applicare la defiscalizzazione di cui all’articolo 148, comma 3, Tuir anche ai tesserati.

Pertanto il problema che si pone oggi è se il tecnico, il dirigente o l’atleta tesserato possa considerarsi anche “associato” dell’ente affiliante.

La risposta appare sicuramente positiva per alcuni enti di promozione sportiva che espressamente riconoscono come associati, attribuendo loro anche il diritto di voto, i tesserati all’ente, sul presupposto che potranno mantenere lo status di associazione di promozione sociale (ossia che, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 35, comma 4, D.Lgs. 117/2017, potranno dimostrare di aver associato un numero non inferiore alle 500 associazioni di promozione sociale).

Qualche problema in più si pone per tutti gli altri che non abbiano effettivamente indicato tale scelta nei propri statuti.

Infatti, alla luce, sia della previsione della seconda parte dell’articolo 15, comma 1, D.Lgs. 242/1999 (“Ad esse partecipano società ed associazioni sportive e, nei soli casi previsti dagli statuti delle Federazioni sportive nazionali in relazione alla particolare attività, anche singoli tesserati”) che di molti statuti federali (Fipav, articolo 1. “La Federazione italiana pallavolo è legalmente costituita dalle società ed associazioni sportive aventi sede sportiva in Italia…“; la motociclistica: “riunisce in un unico ente associativo tutte le società e associazioni sportive…“; atletica leggera: “è costituita da società, associazioni ed organismi sportivi affiliati alla stessa…” ecc.), è pacifico che “associati” delle Federazioni Sportive Nazionali possano intendersi, in via di prima interpretazione, solo le società ed associazioni sportive.

Irrilevante ai fini della nostra analisi appare essere anche la lettura dell’articolo 15, comma 1, D.lgs. 36/2021 (i cui effetti decorreranno però dal 1° gennaio 2023): se è pur vero che indica che il rapporto di tesseramento ha natura di rapporto associativo lo riferisce alle associazioni e società sportive di appartenenza e non alle rispettive Federazioni.

Ma se tanto è vero, resta da definire il rapporto, sul piano giuridico-fiscale, che intercorre tra la Federazione ed i singoli tesserati.

Non è possibile considerarli “terzi” rispetto alla Federazione in quanto hanno (perlomeno gli atleti ed i tecnici) diritto di voto in assemblea e diritto di partecipazione agli organi direttivi delle Federazioni, in base al decreto Melandri, e godono degli eventuali voti plurimi concessi al sodalizio sportivo per il quale sono tesserati e sono soggetti alla giustizia endoassociativa federale: elementi tipici per verificare la sussistenza del rapporto associativo.

Appare quindi, in prima lettura, una irreparabile frattura tra la normativa prevista dal D.Lgs. 242/1999 (meglio noto come “Decreto Melandri”), ripresa dai vari statuti federali, e quella del codice civile in materia di rapporto associativo all’interno della novellata natura giuridica delle Federazioni sportive Nazionali.

La legge istitutiva del Coni (L. 426/1942) oggi abrogata con l’entrata in vigore del decreto Melandri, prevedeva, al suo articolo 4, tra le entrate proprie del Coni, “i proventi del tesseramento degli iscritti alle Federazioni sportive”.

Pertanto, concettualmente, nella previgente normativa, tali fondi rientravano, per le Federazioni, tra quelli trasferiti dal Coni e, come tali, sicuramente irrilevanti da un punto di vista impositivo.

Alla medesima conclusione si potrà giungere oggi, evidenziando la previsione di cui all’articolo 23 Statuto Coni, che ravvisa nel tesseramento profili pubblicistici dell’attività delle Federazioni Sportive Nazionali.

Se allo stato, pur con qualche “vuoto” interpretativo che postulerebbe conferma dalla Amministrazione finanziaria, si può ritenere che l’inquadramento degli istituti del tesseramento coincida con i comportamenti concludenti tenuti fino ad oggi dal mondo federale, problematico appare l’esame di altri tipi di corrispettivo, quali quelli versati dagli associati per ottenere prestazioni particolari, quali le c.d. “tasse gara” o le somme versate per ottenere l’autorizzazione allo svolgimento di determinate manifestazioni. In tal caso, infatti, non scatterebbe la natura pubblicistica del versamento.

Sulla base di tale prima conclusione, tra tutti i corrispettivi riscossi dalle Federazioni, sotto la generica voce usata nel passato “tasse federali”, andrebbero tenuti distinti:

  • gli importi acquisiti per il semplice riconoscimento di uno status, sulla cui irrilevanza fiscale, sia ai fini delle imposte sui redditi che dell’Iva, non si ritiene possano sussistere dubbi,
  • e gli importi percepiti a fronte di una prestazione resa (vedi l’omologazione dei percorsi delle gare su strada, le tasse gara, i reclami e ricorsi, il trasferimento ed il prestito di atleti, ecc.) per i quali, in assenza di una auspicata presa di posizione ministeriale, appare possibile il loro assoggettamento ad imposizione.