7 Dicembre 2017

Agente immobiliare: applicabile la “presunzione” sui prelevamenti

di Raffaele Pellino
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In materia di accertamenti bancari, anche agli “agenti immobiliari” sono applicabili le presunzioni sui prelevamenti ingiustificati di cui all’articolo 32 comma 1, n. 2, del D.P.R. 600/1973, salvo che il giudice qualifichi il contribuente quale esercente attività di lavoratore autonomo.

Questo è quanto chiarito dalla Cassazione nell’ambito dell’ordinanza n. 26774 del 13 novembre 2017.

Ma veniamo ai fatti.

La controversia trae origine da un avviso accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate a seguito di indagini finanziarie condotte nei confronti di un contribuente che svolge l’attività di agente immobiliare. In particolare, in base alla documentazione bancaria acquisita e alle dichiarazioni rese, le movimentazioni dei conti correnti del contribuente rimaste “ingiustificate” sono state ricondotte all’attività d’impresa.

Di contro, il contribuente sostiene che la sua attività, avendo natura professionale, rientra tra quelle di lavoro autonomo, con conseguente annullamento delle presunzioni di cui all’articolo 32, D.P.R. 600/1973.

Ciò premesso, la commissione tributaria provinciale, accoglieva solo in parte  le richieste del contribuente, mentre, la commissione tributaria regionale ne accoglieva “in toto” l’appello: quest’ultima  osservava che, esercitando il contribuente attività di lavoro autonomo (agente immobiliare), doveva applicarsi la sentenza n. 228/2014 della Corte Costituzionale e, quindi, “escludersi la fondatezza delle pretese creditorie erariali portate dall’atto impositivo impugnato in quanto basate sulla presunzione legale relativa di cui all’art. 32, D.P.R. 600/1973, appunto dichiarata costituzionalmente illegittima da detta pronuncia del giudice delle leggi”.

La Corte Costituzionale, infatti, ha sancito l’illegittimità costituzionale della “presunzione” di cui all’articolo 32, D.P.R. 600/1973 riguardante i prelevamenti bancari nell’ambito degli accertamenti nei confronti di lavoratori autonomi, così confermando che la stessa riguarda solo i titolari di reddito di impresa. Secondo la Corte tale presunzione “è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito“.

Inoltre, la stessa Corte ha affermato che “anche se le figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo sono per molti versi affini … esistono specificità di quest’ultima categoria che inducono a ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento prevista dalla disposizione censurata, alla cui stregua anche per essa il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo. L’attività svolta dai lavoratori autonomi, al contrario, si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo“.

Tuttavia, avverso la decisione della C.T.R., l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione.

In particolare, l’Ufficio richiedeva la nullità della sentenza impugnata per “difetto assoluto di motivazione” in merito alla questione relativa la qualificazione dell’attività economica del contribuente quale lavoro autonomo ovvero di impresa. Nello specifico, per l’Ufficio, la sentenza è nulla perché affetta da un “errore in procedendo” in quanto, nel caso di specie, non è applicabile il disposto dalla citata sentenza della Corte Costituzionale essendo il contribuente qualificabile come “imprenditore”.

La Cassazione, nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ritiene che la motivazione della sentenza impugnata si pone “ben al di sotto del “minimo costituzionale” in quanto la C.T.R. “si è limitata ad affermare apoditticamente la natura professionale e non imprenditoriale dell’attività economica esercitata dal contribuente, facendo riferimento ad albi professionali che nemmeno vengono specificati”.

In tal modo – secondo i giudici di legittimità – la commissione tributaria regionale ha motivato solo “apparentemente” la natura professionale dell’attività esercitata dal contribuente, condizione questa che costituisce la “premessa essenziale” dell’applicabilità della pronuncia della Corte Costituzionale.

La sentenza impugnata viene, dunque, cassata e rinviata alla C.T.R. per un nuovo esame.

Vale qui la pena sottolineare quanto precisato dalla C.T.R. Firenze nella sentenza n. 40/2009: “Il mediatore immobiliare è … per definizione, un imprenditore, con tutte le responsabilità e caratteristiche che derivano da tale veste giuridica, condizionata dall’iscrizione in apposito ruolo, ed alla denuncia dell’attività al Registro delle Imprese presso la Camera di commercio della provincia in cui egli intende operare”.

 

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