26 Maggio 2015

Accertamento: l’indifferenza non paga mai

di Giovanni Valcarenghi
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In un rapporto “sereno” tra Fisco e contribuente l’indifferenza e l’immobilismo sono sempre armi spuntate. Questo il messaggio che è possibile ricavare dalla lettura della sentenza della Cassazione numero 9721 del 13 maggio 2015.

La vicenda, in sé, appare assolutamente piana. In sede di accertamento fiscale in capo ad un lavoratore autonomo, sono stati riconosciuti come maggiori compensi l’ammontare dei versamenti di assegni bancari che, evidentemente, si riteneva non fossero stati giustificati.

Sin qui nulla di eclatante; infatti, l’unica particolarità che interessa il lavoratore autonomo è la irrilevanza della presunzione che attiene ai prelevamenti, mentre per quanto attiene le somme accreditate sul conto funziona la (condivisibile) assimilazione a compenso non dichiarato.

Fatto l’inquadramento generale, appare interessante esplorare il comportamento delle parti nella fase dell’accertamento ed in quella dei primi due gradi di giudizio, unitamente alle conclusioni cui erano giunti i giudici di merito.

Partendo proprio da tale ultimo assunto, la CTP aveva accolto il ricorso del contribuente, censurando l’avviso di accertamento dell’Agenzia, all’interno del quale non si era tenuto conto di tutta una serie di documenti prodotti dal contribuente.

Direi che si era partiti con il piede giusto, affermando il sacrosanto principio in forza del quale l’Ufficio non può limitarsi a sostenere in modo apodittico la correttezza delle proprie azioni, senza giustificare i motivi per i quali ritiene non sufficiente, veritiera, condivisibile, ecc., la documentazione prodotta dal contribuente.

L’appello presentato dall’Agenzia ha avuto miglior esito in CTR, posto che i giudici hanno parzialmente riformato la sentenza di primo grado, sostenendo letteralmente che “gli importi residui non erano stati giustificati, come da suo onere dal contribuente, essendo gli assegni soltanto un mezzo di pagamento che presuppone l’esistenza di una relazione che ne giustifichi l’emissione, onde tali somme dovevano essere assoggettate a tassazione mancando la dimostrazione della loro riferibilità a pagamenti estranei all’attività professionale”.

Tra i motivi di ricorso in Cassazione, il contribuente lamentava che i giudici di secondo grado avrebbero trascurato di applicare un principio basilare che, nei fatti, avrebbe spostato l’onere probatorio dal contribuente all’Ufficio a seguito della copia produzione documentale offerta all’organo accertatore.

A parere della Cassazione, oltre alla estrema genericità della censura, per poter superare la presunzione legale della norma occorre che:

  • il contribuente fornisca valida prova contraria;
  • detta prova sia valutata dal giudice in rapporto agli elementi risultanti dai suddetti conti, per verificare, attraverso i riscontri possibili (date, importi, tipo di operazione, soggetti coinvolti), se – ed eventualmente a quali movimenti – la documentazione fornita dal contribuente si riferisca, così da escludere dal calcolo dell’imponibile esclusivamente quanto risultante dai singoli movimenti bancari ritenuti riferibili alla produzione documentale del contribuente (Cassazione n.16650 del 2011).

Superata anche questa censura, il contribuente sottolinea come ulteriore vizio della CTR sia stato quello di avere disconosciuto la valenza probatoria della produzione delle copie degli assegni senza prendere posizione in ordine alla produzione (neanche menzionata) delle dichiarazioni rese dagli emittenti degli assegni e di altra documentazione dalla quale si dimostrava l’esistenza dei rapporti sottostanti che escludevano l’imputabilità ai redditi professionali.

Qui si coglie nel segno, in quanto si sposta il ragionamento dal terreno dell’onere probatorio a quello della valutazione delle prove fornite dal contribuente; insomma, un conto è dire che il soggetto deve dimostrare l’estraneità dei versamenti rispetto all’attività professionale, altra cosa è affermare che, ove della documentazione sia stata prodotta, vi è l’onere in capo all’ufficio (prima) ed al giudice (successivamente) di indicare le ragioni per cui tale documentazione viene ritenuta insufficiente allo scopo.

Ed infatti la Cassazione conferma che “la motivazione censurata si appalesa, infatti, viziata laddove la CTR siciliana, pur a fronte delle allegazioni e della copiosa documentazione, non limitata alle sole copie degli assegni, versata in atti dal contribuente al fine di fornire la dimostrazione dei rapporti sottostanti estranei all’esercizio della professione, ne ha omesso integralmente l’esame non esplicitando neppure le ragioni per le quali l’ha ritenuta inidonea allo scopo”.

Da qui alla conclusione il passo è breve: cassazione della sentenza con rinvio al giudice di merito affinché il medesimo provveda al riesame della vicenda, fornendo congrua motivazione.

Ecco allora perché si è esordito affermando che l’inerzia e l’immobilismo non pagano mai.

E questo è tanto più giusto se solo si considera che, diversamente, ogni volta che il legislatore introduce norme che contengano delle presunzioni legali relative, le medesime si tradurrebbero in una indebita lesione del diritto alla difesa.

Se, dunque, l’Ufficio potrà rimanere inerte dinnanzi alle difese del contribuente (e già questo è negativo), il Giudice avrà invece l’onere (ove opportunamente sollecitato) da soppesare e valutare le prove fornite, al fine di determinarne l’ammissibilità ed il grado di convincimento che sono in grado di determinare.

Ma la stessa Commissione non sfugge all’obbligo di indicare (stavolta nella sentenza e non nell’accertamento) in modo preciso e dettagliato il motivo per cui una prova non è stata ritenuta congrua o sufficiente.

Così operando, allora, anche la presunzione legale relativa più velenosa fa un po’ meno paura o, quantomeno, non scalfisce la certezza che deve rafforzare il contribuente in merito al preciso onere di valutazione delle prove fornite a sostegno della correttezza del proprio operato.

D’altro canto, non dimentichiamo mai che ciò che deve accertare l’’Ufficio è l’esistenza di un maggior reddito, in ossequio ai principi fondamentali della Carta Costituzionale.