22 Dicembre 2020

Accertamento bancario: la prova analitica è sempre a carico del contribuente

di Angelo Ginex
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La scheda di FISCOPRATICO

L’accertamento bancario è una particolare procedura che consente ai verificatori fiscali di acquisire elementi e dati sui rapporti intrattenuti dai contribuenti con gli intermediari finanziari (banche, Poste Italiane S.p.A., SIM, SGR, società fiduciarie, ecc.).

Infatti, gli articoli 32 D.P.R. 600/1973 e 51 D.P.R. 633/1972 dispongono che gli uffici possono avvalersi di controlli con riferimento alla generalità delle tipologie di rapporti e operazioni finanziarie poste in essere dai contribuenti, formulando apposite richieste agli intermediari finanziari.

Così come chiarito con circolare AdE 32/E/2006, la richiesta di dati, notizie e informazioni può essere formulata dagli uffici ispettivi dell’Amministrazione finanziaria, previa autorizzazione (del direttore centrale dell’accertamento e/o del direttore regionale, qualora la richiesta provenga da uffici operativi dell’Agenzia delle Entrate, e del comandante regionale, nel caso in cui la richiesta provenga da reparti operativi della Guardia di Finanza) ed esclusivamente a mezzo pec.

È altresì possibile operare, sempre previa autorizzazione, una richiesta diretta al contribuente, il quale è così tenuto al rilascio di una dichiarazione contenente l’indicazione della natura, del numero e degli estremi identificativi dei rapporti intrattenuti con intermediari finanziari, o comunque estinti da non più di 5 anni dalla data della richiesta.

Appare evidente come l’esame dei conti correnti bancari del contribuente sia finalizzato al rinvenimento di movimentazioni che non trovano riscontro nella contabilità dell’impresa o del professionista ovvero nei redditi dichiarati dal privato. Tecnicamente, le indagini finanziarie consentono l’acquisizione di elementi idonei a supportare la rideterminazione della base imponibile sia di tipo analitico che di tipo induttivo.

In particolare, i movimenti non giustificati danno luogo ad una presunzione legale relativa, in forza della quale le somme si presumono compensi/ricavi non dichiarati. Quindi, il contribuente deve dimostrare che ha tenuto conto dei dati e degli elementi rinvenuti in sede di accertamento per la determinazione della base imponibile stessa o che questi non hanno rilevanza allo stesso fine.

Con la recente ordinanza n. 27642 del 03.12.2020, la Corte di Cassazione, dando continuità al proprio orientamento in materia, ha ribadito che il contribuente ha l’onere di superare la presunzione legale di cui all’articolo 32 D.P.R. 600/1973, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili.

Allo stesso modo, ove il contribuente fornisca tale prova analitica della natura delle movimentazioni sui propri conti in modo da superare la presunzione, il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica altrettanto rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione.

Sul punto, è stato altresì precisato che l’onere di provare l’esatta provenienza delle ingenti somme per accreditamenti bancari sui conti correnti personalmente intestati al contribuente e, comunque, che si tratti di disponibilità reddituale esente da imposta (quindi, in sostanza, l’onere di fornire una prova contraria) ricade sul contribuente anche nell’ipotesi di un’assoluzione ottenuta nel parallelo processo penale nel quale era imputato (cfr. Corte di Cassazione, ordinanza n. 23799 del 22.10.2020).

Per quanto concerne l’utilizzo delle indagini finanziarie al fine di imputare alle società le movimentazioni sui conti correnti riferibili alla compagine sociale, si è affermato che, in tema di accertamento sulle società di persone o di capitale a ristretta base partecipativa, l’Amministrazione finanziaria può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri previsti dagli articoli 32 D.P.R. 600/1973 e 51 D.P.R. 633/1972, le movimentazioni rilevate sui conti correnti intestati alla compagine sociale, riferendo a tali società le operazioni ivi riscontrate, poiché la sussistenza di una “stretta relazione” tra i soci e la società è idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e societari (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 19774 del 22.09.2020).

Tale pronuncia sembra comunque porsi in contrasto con le precedenti pronunce di legittimità, nonché con le indicazioni di prassi fornite dalla stessa Amministrazione finanziaria, per le quali continua ad essere necessario dimostrare l’effettiva “intestazione fittizia” dei conti correnti oggetto di accertamento (cfr. Corte di Cassazione, ordinanza n. 7758 del 20.03.2019; sentenza n. 15006 del 16.06.2017).

Da ultimo, è il caso di sottolineare che, laddove l’ufficio accerti maggiori ricavi a carico del contribuente sulla base delle movimentazioni bancarie, il contribuente ha l’onere di provare anche l’esistenza di eventuali costi deducibili; tuttavia, qualora dallo stesso atto impositivo o comunque da elementi a disposizione del giudice (ad esempio, da altri atti istruttori come un PVC), emergesse che dette movimentazioni sono state effettivamente destinate al sostenimento di costi dell’attività d’impresa, l’ufficio deve tenerne conto in sede di rideterminazione del reddito (cfr. Corte di Cassazione, n. 23093 del 22.10.2020).