3 Febbraio 2016

Accertamenti da studi di settore inutili

di Massimiliano Tasini
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Viste ora, le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza in materia di studi di settore sembrano scontate, quasi nemmeno più ci prestiamo attenzione. Eppure, quando nei convegni dicevamo “ci vuole coraggio” lo facevamo nella convinzione che, in un moderno Stato di diritto, è impensabile standardizzare i redditi di tutti i contribuenti: tutti sotto il “cappello” di una funzione di Gauss, costruita chissà come, tutti allineati.

Invece, forse è bene che ci sforziamo di dedicare qualche minuto, perché da questo dibattito, con ogni probabilità, possiamo trarre più spunti per valutare la “tenuta” di difese prospettate su terreni contigui.

Nella sentenza Cass. civ. Sez. V, 23-12-2015, n. 25902 troviamo le seguenti affermazioni.

  1. L’accertamento da studi costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.
  2. Il contribuente può scegliere se allegare e provare o meno, sia nella fase amministrativa che in quella contenziosa, l’esistenza di circostanze di fatto che “allontanino” la sua attività da quella “normale”.
  3. Questa facoltà di prova può essere esercitata senza limitazioni di mezzi e di contenuto.
  4. La motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente; in difetto, l’atto è nullo.

Quali sono i compiti del Giudice Tributario? Essenzialmente due, ovverosia:

  1. valutare l’applicabilità degli standards al caso concreto – dimostrazione che incombe sull’Ufficio -;
  2. valutare la prova contraria fornita dal contribuente – il che presuppone che l’Ufficio abbia fornito, appunto, la prova.

Questa prova contraria:

  • non è vincolata alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo;
  • comprende la possibilità di fare ricorso a presunzioni semplici, e ciò vale anche se il contribuente non ha risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa;
  • dunque, l’inerzia non limita la prova, ma produce comunque effetti di rilievo, atteso che in tal caso l’Ufficio potrà motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards; inoltre, il giudice potrà valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito.

Questi tre principi sono stati peraltro confermati da Cass. 18/12/2015 sent. 25485.

La giurisprudenza ha inoltre affermato che l’accertamento da studi di settore si “affina” con il tempo, per cui lo strumento più recente trova applicazione anche per il passato, sempreché ovviamente più favorevole (Cass. civ. Sez. V, 18-11-2015, n. 23554, relativamente al rapporto tra studi di settore ed i precedenti parametri presuntivi).

Ha altresì rimarcato la necessità che lo scostamento tra dato dichiarato e presunto sia “grave” (Commiss. Trib. Reg. Sicilia Palermo Sez. I, 04-11-2015).

Ancora, ha sottolineato che il contrasto interpretativo circa il cluster di appartenenza non accompagnato da nessuna grave incongruenza e in presenza di scritture contabili formalmente corrette non può portare ad una automatica rideterminazione del reddito di impresa (Commiss. Trib. Reg. Lombardia Milano Brescia Sez. LXVI, 12-10-2015).

Purtroppo, poco o niente si dice sulla sussistenza o meno delle cause di esclusione o di inapplicabilità da studi. Soprattutto, esige un momento di approfondimento il concetto di periodo di non normale esercizio dell’attività, per gli effetti diretti ed indiretti che possono ingenerarsi da un eventuale (e tutt’altro che improbabile) contrasto sul punto.

Sul piano generale, non pare sussiste dubbio che ogni accertamento parametrico, e probabilmente non solo per quello, esige un contraddittorio, che, si badi bene, non è una esercitazione formale, ma un momento di confronto, anche serrato ma nel pieno rispetto dei ruoli. Dovrebbe essere talmente scontato da non esigere nemmeno commenti.