26 Luglio 2017

Società di comodo solo con canone d’azienda platealmente antieconomico

di Fabio Garrini
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La Cassazione, nella sentenza n. 8218 del 30 marzo 2017, ha stabilito che un canone particolarmente basso di affitto di azienda può condurre all’applicazione della disciplina delle società non operative; la società, però, non risulta di comodo quando, seppur dal mero calcolo matematico derivante dall’applicazione dei coefficienti ai beni strumentali derivi un valore di ricavi presunti superiore rispetto a quello effettivamente conseguito, il canone può essere considerato ragionevole.

Comodo e affitto d’azienda

Quando una società sottoscrive un contratto con il quale consegna ad altro soggetto l’unica azienda in affitto, si aprono indubbi problemi di operatività, visto che l’applicazione dei coefficienti previsti dall’articolo 30 della L. 724/1994 consegna un risultato, in termini di ricavi presunti, che spesso è ben maggiore rispetto al canone che ragionevolmente è possibile ritrarre dall’affitto del complesso aziendale.

La sentenza richiamata osserva che la disciplina di non operatività è un elemento sintomatico della natura di non operatività della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto.

Peraltro, sul tema, va ricordato come recentemente la Cassazione (sentenza n. 5080 del 28 febbraio 2017) abbia affermato che la nozione di “impossibilità” di cui alla disposizione in esame va intesa non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, da riferirsi alle effettive condizioni del mercato. Quindi, se il mercato offre un canone di locazione per un immobile del tutto inadeguato rispetto alla potenziale redditività dell’immobile, l’immobiliare potrebbe decidere di non locarlo: questa non sarebbe qualificabile come sua scelta ma piuttosto come una causa di forza maggiore imposta dal mercato.

Tornando alla sentenza in commento, la società ricorrente è stata condannata in quanto non aveva dato la prova contraria che le incombeva; in particolare il canone è stato ritenuto particolarmente incongruo a fronte della “plateale antieconomicità” delle spese di ristrutturazione sostenute per la struttura alberghiera oggetto di affitto.

Come detto, tale posizione è di assoluto interesse, in quanto, pare di capire, che se il canone fosse stato equo in relazione al complessivo investimento, la società non sarebbe risultata di comodo, indipendentemente dal conseguimento o meno dei ricavi minimi derivanti dall’applicazione dei coefficienti previsti dall’articolo 30 della L. 724/1994.

Sul punto, comunque, la Cassazione ha negato che l’affitto dell’unica azienda possa escludere alla radice la società dall’ambito della normativa in esame (rendendola quindi operativa). Come detto, spetta infatti al contribuente fornire la prova contraria dimostrando l’esistenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto (Cassazione sentenze n. 8125/2015 e n. 7534/2015).

Constano anche interessanti precedenti nella giurisprudenza di merito che vanno contro ad una applicazione matematica dei citati coefficienti al caso di una società che ha dato l’unica azienda in affitto.

Con la sentenza n. 48/04/13, la CTP di Catanzaro ha affermato che il comportamento antieconomico tenuto dalla società doveva essere provato dall’Amministrazione finanziaria, dimostrando l’incongruità dei canoni di locazione percepiti rispetto alla conduzione diretta dell’azienda. In pratica, l’ufficio non ha giustificato, attraverso una serie di presunzioni gravi, precise e concordanti, le ragioni che hanno provocato il rigetto dell’istanza di interpello proposta dal contribuente. Si è, quindi, in presenza di una situazione di carattere oggettivo che ha reso impossibile il conseguimento di ricavi presunti.

Si segnalano poi anche la sentenza delle CTP di Trento n. 65/13 e la sentenza della CTP Mantova n. 137/13; sono sentenze che, pur non essendo tutte favorevoli al contribuente, evidenziano come la disciplina delle società non operative vada vista come strumento per combattere uno scudo societario fittizio e una fittizia intestazione di beni fruiti in realtà dai soci. Il che significa che quando ciò non si realizza, occorre concludere che la disciplina in questione non sarebbe applicabile.

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