3 Marzo 2016

Vendita diretta di prodotti agricoli … con limiti

di Luigi Scappini
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Il Consiglio di Stato, V sezione, con la sentenza n. 131 del 18 gennaio 2016 analizza la normativa (agevolativa) riservata all’imprenditore agricolo per poter aprire una vendita diretta di propri prodotti.

Tale facoltà è stata concessa nel contesto della riforma del 2001 che ha visto rimodulare integralmente, in un senso moderno, il settore dell’agricoltura, della pesca e della selvicoltura.

In tale contesto, il D.L. 57/2001, tra gli obiettivi che si poneva, vi era anche quello della revisione della disciplina prevista dalla L. 59/1963 in tema di vendita al pubblico in sede stabile dei prodotti agricoli da parte degli agricoltori produttori diretti.

Inoltre, la lettera s), articolo 8, L. 57/2001 prevedeva, tra gli interventi, anche l’abolizione della relativa autorizzazione.

L’articolo 4, D.Lgs. 228/2001, al comma 1 prevede che “Gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese di cui all’art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità”.

Il successivo comma 5 amplia la “merceologia” di prodotti vendibili prevendendo che la “disciplina si applica anche nel caso di vendita di prodotti derivati, ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell’impresa”.

Ne deriva che l’attività di vendita diretta può essere esercitata da un imprenditore agricolo iscritto al Registro delle Imprese che non abbia subito condanne per delitti in materia di igiene, sanità o frode nella preparazione degli alimenti che alternativamente o congiuntamente:

  • ceda prodotti provenienti in misura prevalente dal proprio fondo e quindi dalla propria attività agricola per definizione e
  • prodotti derivanti dalle attività connesse di manipolazione e/o trasformazione di prodotti agricoli e zootecnici.

L’azienda deve essere ubicata nell’ambito territoriale della Regione o in quelli definiti dalle singole amministrazioni.

Soggetti ammessi alla vendita sono i titolari dell’impresa, i soci nel caso di società, i familiari, i coadiuvanti nonché i dipendenti.

Rispetto alla precedente disciplina di cui alla L. 59/1963 richiamata vi è l’introduzione della possibilità di procedere alla cessione di prodotti acquistati da terzi, nel rispetto della prevalenza dei prodotti provenienti dall’attività propria e dalla natura agricola degli stessi.

La lettura di tale contesto normativo, porta a ritenere vendibili da parte dell’imprenditore agricolo anche altri prodotti non strettamente agricoli ma comunque connessi agli stessi.

In tal senso, ad esempio, la sentenza all’oggetto ha ammesso che la liberalizzazione del commercio dei prodotti da parte delle aziende agricole “può inevitabilmente comprendere cose non direttamente derivanti dall’agricoltura, ma ad essa strettamente connesse (nel caso di specie, essendo parte in causa un vivaio il riferimento è a vasi, strumenti di irrigazione, concimi, insetticidi o strumenti per l’immediato utilizzo della terra come rastrelli o vanghe).

Prosegue la sentenza specificando che, preso atto di questo allargamento merceologico, “appare però evidente che la commercializzazione dei prodotti agricoli o florovivaistici oppure la fornitura di beni connessi a queste attività deve rispettare le stesse regole che la ammettono, così come quelle attinenti altre attività come quella prettamente commerciale.”.

Questa liberalizzazione del settore non permette tuttavia di procedere alla cessione di prodotti che non sono in alcun modo riconducibili al settore merceologico di appartenenza dell’imprenditore agricolo, in tal caso, venendo meno le deroghe di cui all’articolo 4, D.Lgs. 228/2001, nasce l’obbligo di rispetto delle regole di cui al D.Lgs. 31 marzo 1998, n.114/1998, e successive modificazioni.

Ulteriore conseguenza, strettamente fiscale, derivante da tale ampliamento dei prodotti vendibili comporta che:

  1. nel caso in cui gli stessi non subiscano un processo di trasformazione e/o manipolazione, come precisato dall’Agenzia delle entrate nella circolare n.44/E/2004, si è in presenza di una mera attività di commercializzazione in alcun modo riconducibile tra quelle connesse e
  2. la cessione di prodotti attinenti il settore, ma in alcun modo agricoli comporterà sempre un’attività di natura commerciale.

 

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