18 Novembre 2013

Vecchio redditometro: moltiplicatore mutui poco ragionevole. Il giudice tributario può disapplicarlo

di Massimo Conigliaro
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Il nuovo accertamento sintetico – e con esso il redditometro – applicabile a partire dall’anno d’imposta 2009 può riverberare effetti positivi per il contribuente anche per gli anni precedenti. E’ quello che è accaduto, nei fatti, in una controversia decisa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze (Sezione n. 10, sentenza n. 70 del 19.2.2013) nel quale il giudice tributario ha ritenuto di accogliere, tra le altre, la doglianza del contribuente in merito alla eccessiva incidenza del pagamento del mutuo nella rideterminazione del reddito nell’accertamento ex art.38 del DPR 600/73.

Nel caso trattato dalla Commissione fiorentina, a fronte di un reddito dichiarato di 26 mila euro un contribuente si vedeva accertato un imponibile di 118 mila euro, sulla base di elementi di capacità contributiva riscontrati principalmente per il possesso di due immobili, un’auto, una moto e – soprattutto – per il pagamento di un mutuo per un importo annuo di 19 mila euro.

E’ noto che nella vecchia formulazione del redditometro – prima della novella introdotta dal D.L. 78/2010 perfezionatasi con il D.M. 24.12.2012 – il pagamento delle rate di muto non incideva per le somme effettivamente pagate, ma veniva utilizzato un moltiplicatore pari a 4 volte, così da ritenere che a fronte di un mutuo di 19 mila euro l’anno la parte avrebbe dovuto conseguire redditi pari 76 mila euro. Dato a dir poco anacronistico e sicuramente in contrasto con il principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione: prova ne sia che nella nuova formulazione del redditometro incidono soltanto le rate effettivamente pagate.

Sulla scorta di tale considerazione il contribuente aveva evidenziato nel ricorso introduttivo che la metodologia di accertamento del redditometro aveva subìto, con il passare degli anni, un’importante e significativa involuzione dovuta soprattutto al fatto che la stessa risentiva della grossolana ed approssimativa procedura di calcolo. La stessa Amministrazione Finanziaria aveva infatti invitato più volte, nel corso degli anni, gli Uffici periferici ad usare tale strumento accertativo in maniera prudente e ponderata. Il Ministero delle Finanze, già con Circolare del 30.04.1999, n. 101/E, ammettendo espressamente “l’inevitabile imprecisione di detto strumento presuntivo”, sottolineava “l’esigenza di un suo attento e ponderato utilizzo da parte degli uffici” nonché “la necessità di procedere sempre ad un esame complessivo della situazione reddituale dell’intero nucleo familiare del contribuente, essendo evidente come frequentemente gli elementi indicativi di capacità contributiva, rilevanti ai fini dell’accertamento sintetico, possano trovare spiegazione da redditi posseduti da altri componenti il nucleo familiare”.

Il rischio evidente, maneggiando impropriamente il “redditometro”, è infatti quello di tassare un valore non espressivo della effettiva capacità contributiva del contribuente.

Non a caso nella citata circolare n. 101/E/1999 si legge anche che “l’impiego degli indici e coefficienti presuntivi di reddito collegati ad elementi indicativi di capacità contributiva dovrà in primo luogo essere utilizzato quale spunto di indagine, allo scopo di individuare, per quanto possibile, le effettive fonti reddituali eventualmente sottratte all’imposizione”. Nella circolare 49/E del 9.08.2007 è stato ulteriormente puntualizzato che “Gli Uffici dovranno tenere presente ogni argomentazione ed elemento di valutazione forniti dal contribuente, al fine di pervenire a determinazioni reddituali pienamente convincenti, in particolare, quando la determinazione sintetica del reddito complessivo netto si fonda unicamente sul contenuto induttivo degli elementi di capacità contributiva”.

Nel caso in commento, il contribuente aveva quindi prodotto in giudizio una tabella riepilogativa evidenziando, innanzi tutto, l’anacronistica circostanza che per poter pagare un mutuo sull’abitazione principale occorreva un reddito almeno quattro volte superiore, fatto che di per sé non trova riscontro nella realtà; a ciò aggiungeva di aver provveduto a disinvestire somme cospicue per far fronte alle spese della vita quotidiana nonché di aver ricevuto altresì liberalità da parenti ed affini, circostanze tutte debitamente documentate.

La CTP di Firenze accogliendo la tesi prospettata, ha richiamato in sentenza la Circolare n. 101/99, sottolineando che la stima del reddito in base al moltiplicatore del mutuoappare eccessiva e poco ragionevole tanto che la stessa Amministrazione finanziaria ha più volte raccomandato agli uffici di usare prudenza nell’apprezzare il risultato del redditometro quando si tratta di valutare l’incidenza della prima casa e del possesso di autoveicoli”.

La Commissione si sofferma infine sui disinvestimenti effettuati dal contribuente: questi aveva infatti documentato – già nella risposta al questionario e poi nel procedimento di accertamento con adesione esperito – di avere smobilizzato delle risorse finanziarie per fare fronte alle spese sostenute nel periodo. L’ufficio impositore non aveva accolto tale giustificazione chiedendo al contribuente non soltanto la produzione della contabile della singola operazione bancaria, ma anche l’intero estratto conto di periodo, ciò al fine di verificare l’effettiva destinazione delle risorse disinvestite (c.d. nesso eziologico). La CTP di Firenze ha rigettato anche tale prospettazione ritenendo che dell’Agenzia delle Entrate non avesse assolto all’onere della prova, gravante sulla stessa, volto a dimostrare che le somme disinvestite fossero state successivamente reinvestite in altri strumenti finanziari.