21 Dicembre 2015

Uno sguardo sulle nuove sanzioni

di Massimiliano Tasini
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Piace un po’ a tutti il D.Lgs. 158/2015. Certo, i punti di vista possono divergere, ma l’impressione di studiosi ed applicatori del diritto è complessivamente più che positiva.

Non è cambiato il rapporto tra sanzioni amministrative e penali; certo, si potrà dire – a ragione – che la legge delega 23/2014 grandi spazi di manovra non ne dava; così, al di là delle buone intenzioni del legislatore, lo spazio di “specialità” tracciato dal citato articolo 19 continuerà ad essere assai angusto, complici diverse pronunce della Corte di Cassazione, che hanno ritenuto, ad esempio in materia di omesso versamento di ritenute, applicabili sia le une che le altre sanzioni (vedasi Cass. SSUU 37425/2015; la medesima soluzione è stata peraltro adottata con riguardo all’Imposta sul Valore Aggiunto, cfr. Cass. SSUU 37424/2015).

Nemmeno è cambiato il rapporto tra processo tributario, chiamato a dirimere la debenza o meno delle sanzioni tributarie, e processo penale, volto a stabilire la sussistenza o meno di una responsabilità penale: l’uno e l’altro continuano a percorrere strade parallele, salvo negli “scambi” in corrispondenza delle “stazioni” che la legge ha di volta in volta introdotto, e che continuano e continueranno a porre problemi di non facile soluzione sotto ogni profilo.

Tra questi, si segnala l’anomalia del patteggiamento.

Il legislatore all’articolo 444 c.p.p. consente il patteggiamento, delineandolo come un istituto premiale. Si può patteggiare il reato penal-tributario? Certo che sì, ma a una condizione, ovvero che si sia previamente risarcito l’erario: questo sta scritto nel secondo comma del nuovo articolo 13-bis del D.Lgs. 74/2000; nuovo, ma sul punto “vecchio”, ove si consideri che analoga previsione era contemplata nel pregresso articolo 13 comma 2-bis dello stesso decreto, novellato dal DL 138/2011. Una previsione che ha sollevato non pochi dubbi di legittimità costituzionale, sopiti da Consulta 28 maggio 2015 n. 95, come rammentato dall’Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione nel documento III/5/2015 del 28 ottobre 2015.

Per la verità, qualcosa di nuovo c’è, ed è nascosto nelle pieghe del nuovo articolo 12-bis, rubricato “confisca”, disposizione che raccoglie le ceneri del pregresso articolo 1 comma 143 della legge finanziaria 2008 (n. 244/2007). Nel detto comma 2 sta scritto che “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta”; questa previsione è volta a inibire al Pubblico Ministero il sequestro quando, conclusa l’indagine, egli ravvisi i presupposti per la richiesta di rinvio a giudizio, laddove il contribuente manifesti un “impegno” (difficile dire in che forma, ma una forma sarà ben necessaria) a ristorare l’Erario del danno arrecato.

Si tratta di una previsione importante, diremmo fondamentale: fino alla entrata in vigore della novella, il contribuente se voleva patteggiare doveva pagare, ma il sequestro di fatto inibiva il pagamento; oggi, il blocco sul sequestro favorisce il patteggiamento.

Senonché, se il contribuente patteggia ha quasi “perso” il processo tributario: perché la Suprema Corte, Quinta Sezione Tributaria, in più e più occasioni ha detto che il giudice tributario ben può discostarsi dalla sentenza di condanna patteggiata, ma se lo fa deve motivare adeguatamente il suo agire (Cass. 24587/2010; 3293/2009). Allora, la “spinta” al patteggiamento si allenta.