2 Agosto 2017

Un tempo ancora indefinito per l’accertamento

di Massimiliano Tasini
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Si è molto discusso della annosa questione del raddoppio dei termini per l’accertamento, soprattutto con riferimento ai presupposti che la legge esige per la sua operatività.

Due questioni “laterali” sono state molto meno gettonate, ma non per questo assumono scarsa rilevanza: si tratta in particolare di riflettere se il raddoppio dei termini operi o meno anche riguardo all’Irap, nonché se esso sia estensibile ai soci di società.

In base all’articolo 43 D.P.R. 600/1973, nella versione antecedente alle modifiche della L. 208/2015, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 c.p.p. per uno dei reati previsti e puniti dal D.Lgs. 74/2000, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione.

Il D.Lgs. 74/2000, cd. Legge “manette agli evasori”, contempla un sistema di sanzioni penal tributarie in presenza di varie violazioni, tutte però relative, per espressa previsione normativa, alle imposte dirette ed all’Iva.

Al sistema “74” è certamente estranea l’Irap, salvo che non si voglia assimilare tale imposta ad una imposta sui redditi: esercizio arduo, considerato che, a tacer d’altro, lo stesso legislatore è dovuto intervenire sull’articolo 29 del D.L. 78/2010, recante la disciplina dell’accertamento esecutivo, per contemplare, tra le imposte soggette a tale procedura, l’Irap, inizialmente non prevista; in altri termini, senza l’espressa aggiunta dell’Irap gli accertamenti, con riferimento a tale imposta, non sarebbero stati esecutivi, con conseguente reviviscenza del sistema “cartella esattoriale”: ovviamente una soluzione del tutto irragionevole, e che andava corretta.

Che questa sia la conclusione lo sa bene anche la Corte di Cassazione, che, con la sentenza della Terza Sezione Penale 22 marzo 2012 n. 11147 ha pacificamente concluso per l’irrilevanza dell’Irap ai fini della punibilità dei reati penal-tributari.

Se questi sono i fatti, pare difficile ipotizzare il raddoppio dei termini relativamente ad una imposta che non può dar luogo a responsabilità penale.

Si badi bene che è possibile che l’atto contempli anche imposte rilevanti per il decreto 74/2000: in tal caso, andrà valutato se l’Amministrazione sia decaduta quanto alla pretesa Irap, e sia invece in termini per l’altra imposta (per esempio: l’Iva). Così come è viceversa possibile che l’atto contempli solo Irap, ed allora la soluzione pro contribuente sembra più “robusta”.

A sfavore del raddoppio dei termini per l’accertamento Irap sono peraltro molteplici pronunce di merito (CTR Milano, Sez. VIII, sent. 8 marzo 2017 n. 941; CTP Venezia, sez. XIII, sent. 22 gennaio 2016 n. 18; CTP Brescia, sez. X, sent. 16 aprile 2016 n. 334; CTR Cagliari, sez. I, sent. 13 dicembre 2016 n. 365).

Suscita poi perplessità la scelta dell’Agenzia delle Entrate di ritenere automaticamente raddoppiato il termine di accertamento anche relativamente alla posizione dei soci di società, laddove il termine sia raddoppiato per la società.

Vengono qui in evidenza considerazioni civilistiche ma anche di buon senso.

Riferendoci in particolare alle  società di persone, si può osservare che in linea di principio l’amministrazione compete a tutti i soci; nondimeno, costituisce prassi consolidata delle procure della Repubblica quella di ritenere penalmente responsabile il solo rappresentante legale, così come identificato negli atti societari e nelle dichiarazioni fiscali. Questo anche in ragione del fatto che gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate segnalano alle procure ex articolo 331 c.p.p. la posizione di tali soggetti e non del socio non amministratore.

Si tratta allora di stabilire se il raddoppio dei termini per l’accertamento della società di persone, ed a maggior ragione di quella di capitali, sia di per sé idoneo a trascinare il raddoppio anche riguardo alla posizione del socio.

La risposta della Cassazione è però decisamente negativa, come confermato dalla sentenza n. 26068/2015, che sul punto, con ampia motivazione, sconfessa la tesi dell’Agenzia (fatta salva, come è ovvio, l’ipotesi, pur sempre possibile, che sussista una responsabilità anche da parte del socio non amministratore).

Sulla base di tali considerazioni, a maggior ragione potrà ritenersi escluso il raddoppio dei termini con riguardo al socio di una società di capitali.

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