28 Luglio 2016

Il trust della legge sul dopo di noi – 2a parte

di Sergio Pellegrino
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Nel contributo pubblicato martedì, abbiamo visto come la legge sul dopo di noi attribuisca al trust significative esenzioni e agevolazioni fiscali, condizionando però questi vantaggi al fatto che il trust sia esclusivamente “dedicato” alle esigenze del soggetto disabile.

Il trust della legge sul dopo di noi presenta per questo una problematica strutturale, che evidentemente chi ha scritto la norma non si è posto, ossia quella delle esigenze degli altri componenti del nucleo familiare.

Colpisce anche il fatto che nessuno degli organismi “tecnici” convocati in audizione al Senato – fra gli altri, Assofiduciaria, Assotrusts, Step, Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, Consiglio Nazionale del Notariato – abbia posto un problema di questo tipo, ritenendo invece maggiormente importante focalizzare l’attenzione sull’estensione delle agevolazioni fiscali ad altri istituti giuridici, come poi è puntualmente avvenuto.

Se però gli esclusivi beneficiari del trust devono essere le persone con disabilità grave e i beni conferiti devono essere destinati esclusivamente alla realizzazione delle finalità assistenziali del trust, come abbiamo evidenziato appunto nel contributo di ieri, che ne è delle esigenze degli altri figli e degli stessi genitori?

La scelta di asservire il patrimonio in trust esclusivamente alla tutela del disabile impone che soltanto una parte del patrimonio familiare possa essere, evidentemente, disposta in trust: una parte ne deve per forza di cose rimanere al di fuori, per consentire anche agli altri familiari di “vivere”.

Ecco che, se effettivamente è così, il trust della legge sul dopo di noi rischia di diventare uno strumento utile alle sole famiglie particolarmente abbienti.

Soltanto quelle famiglie che hanno un patrimonio “rilevante”, che può essere solo in parte, attesa la sua “capienza”, destinato alle esigenze del soggetto svantaggiato, e che hanno nel contempo maggiore interesse, proprio per la significatività del patrimonio, a beneficiare delle agevolazioni fiscali, potranno pensare di strutturare il trust con i rigidi vincoli imposti dal legislatore.

Le altre famiglie continueranno invece ad aver convenienza a far ricorso a trust “normali” – o, per meglio dire, non a quello tipizzato della legge sul dopo di noi -, che consentano di far fronte alle esigenze del componente del nucleo maggiormente bisognoso, ma, nel contempo, non trascurino del tutto quelle degli altri familiari.

In queste situazione, fra l’altro, le regole “ordinarie” di determinazione del carico di fiscalità indiretta rendono sostanzialmente ininfluente la “leva fiscale”.

I vincoli posti dal legislatore sono dunque così incisivi da rendere l’opzione offerta dalla legge “impraticabile” per la maggior parte delle famiglie che si devono occupare di un congiunto disabile disponendo di un patrimonio “normale”.

Inconsapevolmente si è quindi finito con il concepire uno strumento “per pochi”, ed in particolare per quei pochi che avevano meno bisogno di aiuto, avendo evidentemente delle risorse idonee ad affrontare una situazione difficile quale quella di provvedere alla cura e all’assistenza di un disabile grave.

Sono sicuro che non fosse questo l’obiettivo perseguito dal legislatore, ma temo sia purtroppo l’esito innegabile di un processo normativo non sufficientemente ponderato: questo sebbene l’iter sia durato anni, provenendo il provvedimento addirittura dalla precedente legislatura.