19 Ottobre 2016

La tassazione degli investimenti finanziari

di Marco Degiorgis
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Come sempre è complicato calcolare la tassazione in Italia.

Parlando di rendite finanziarie, le variabili che influenzano l’aliquota effettiva sono tre: tipo di rendita (da capitale o da “redditi diversi”), tipo di aliquota applicata (26% su redditi da capitale e diversi, 12,50% per i titoli di Stato, imposta di bollo 0,20%, tobin tax) e regime di tassazione (dichiarativo, amministrato, gestito o polizza).

Nei casi del risparmio gestito o delle polizza vita, c’è un semplice calcolo della differenza di valore dell’investimento complessivo ad inizio e fine anno. Se la differenza è positiva viene tassata. Se è negativa, è riportata all’anno successivo.

Nei casi invece di regime dichiarativo o amministrato, la faccenda si complica.

Nel dichiarativo, è l’investitore che deve contabilizzare tutti gli utili e tutte le perdite ed indicare nella dichiarazione dei redditi a quanto ammonta l’eventuale rendita. Il differenziale è quindi tassato al 26% se positivo o portato in detrazione per i 4 anni successivi se negativo.

Il calcolo però deve essere realizzato sui soli redditi diversi, e ovviamente se sbagli … ne rispondi tu. Spesso i commercialisti stessi preferiscono non occuparsi di questi conteggi, proprio perché sono abbastanza complicati. È abbastanza raro che l’investitore scelga il regime dichiarativo.

Nel regime amministrato, è l’intermediario finanziario che si occupa di fare i conteggi e di applicare la tassazione fissa del 26%, ma c’è una grave distorsione. Infatti gli utili e le perdite vengono classificate in maniera diversa, redditi da capitale e diversi, e non sempre sono compensabili tra loro.

L’anomalia più significativa riguarda i Fondi comuni di investimento e gli ETF, strumenti largamente usati dagli investitori: le plusvalenze sono considerate redditi da capitale, e quindi tassati immediatamente nel momento in cui si vendono, mentre le minusvalenze sono considerate redditi diversi, compensabili solo con altre plusvalenze ma da redditi diversi.

Vediamo cosa sono i redditi diversi. Si tratta delle plusvalenze o minusvalenze generate:

  • dalla negoziazione di strumenti finanziari (come ad esempio azioni, obbligazioni, derivati, ma solo sull’aumento o diminuzione del loro valore);
  • dal rimborso dei titoli a reddito fisso (come ad esempio i titoli di stato e le obbligazioni);
  • dalla cessione di partecipazioni in società o enti e diritti relativi dalla cessione (vendita) di quote di OICR (fondi comuni ed ETF) dove la differenza tra valore di cessione/rimborso e valore di carico risulti negativa.

Invece, i redditi di capitale sono utili che derivano direttamente dall’investimento, essendo la remunerazione prodotta dallo strumento finanziario che spetta al titolare. Si distinguono in:

  • interessi su conti correnti e depositi a risparmio;
  • interessi/cedole e scarti di emissione dei titoli a reddito fisso (come ad esempio i titoli di stato e le obbligazioni);
  • dividendi di azioni;
  • differenza positiva tra valore di cessione/rimborso e valore di acquisto/sottoscrizione degli OICR (compresi gli ETF);
  • distribuzione di proventi periodici da parte degli OICR (compresi gli ETF);
  • scarto prezzo dei “pronti contro termine” su titoli (differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita).

I redditi di capitale possono essere solo positivi e sugli stessi la Banca applica sempre una ritenuta come sostituto d’imposta, anche per i clienti che operano in regime fiscale dichiarativo.

In pratica, se un Fondo o un ETF presente nel deposito Titoli, viene venduto ad un valore superiore a quello di acquisto, questa differenza è considerata come plusvalenza da reddito di capitale e tassata. Però, se lo stesso Fondo o ETF, viene venduto ad un valore inferiore, generando quindi una minusvalenza, questa non è compensabile con altre plusvalenze generate da altri Fondi venduti in utile, ma è considerata reddito diverso e quindi compensabile solo con “redditi diversi” positivi. E qui sta il grosso problema, perché la maggior parte delle transazioni finanziarie avviene tramite fondi comuni di investimento ed ETF. Quindi sulla plusvalenza c’è una ritenuta immediata del 26%, anche se hai scelto il dichiarativo.

Praticamente diventa molto complicato riuscire a compensare le minusvalenze, tenendo presente che è possibile farlo solo nei 4 anni successivi all’anno in cui si sono generate. E poi? Lo Stato incassa, nel senso che se non le porti in detrazione, perdi il 26% sul possibile recupero.

Un esempio: se hai minusvalenze per 1.000 euro, in teoria potresti recuperare il 26% su queste. Infatti se avessi plusvalenze da redditi diversi di pari importo, si annullerebbero e non pagheresti la tassazione al 26%: 260 euro risparmiati. Ma se non hai plusvalenze da redditi diversi, non le compensi, e i 260 euro vengono trattenuti dallo Stato. Peraltro, nello stesso tempo, se hai invece plusvalenze da redditi di capitale per 1.000 euro, su queste pagherai 260 euro di imposizione.

C’è poi la tobin tax: abbastanza complicato il calcolo, perché ci sono aliquote diverse a seconda del tipo di operazione svolta. In pratica viene tassata ogni operazione svolta in derivati e azioni italiane che superano i 500 milioni di capitalizzazione. La tassazione ha rilievo per chi svolge molte operazioni di acquisto e vendita: per dare un’idea, se si svolgesse anche una operazione al giorno in derivati, per un valore di 10.000 euro, l’ammontare all’anno della tassa andrebbe da 39 a 264 euro circa, dipende dal sottostante.

In genere è una tassa che colpisce poco il normale investitore.

Se hai molte minusvalenze generate da Fondi, ti consiglio di cercare uno strumento da utilizzare per recuperarle efficacemente. Chiedi, se vuoi, aiuto, ma solo a chi non ti deve vendere nulla; diffida dai venditori di prodotto che hanno sempre un interesse quando ti propongono qualcosa. E difficilmente questo interesse coincide con il tuo!

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