17 Dicembre 2013

Sul rapporto tra l’art.21 octies L. 241/90 e l’obbligo di motivazione

di Massimiliano TasiniPatrizia Pellegrini
Scarica in PDF

 

L’art. 21 octies, L. 241/1990, introdotto dall’art. 14 della L. 15/2005, al suo primo comma, secondo periodo, ha positivizzato la teoria del vizio non invalidante in forza del quale non è annullabile il provvedimento amministrativo emesso in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, qualora sia palese che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

In buona sostanza, con la norma in questione il legislatore ha depotenziato i vizi formali e procedimentali dei provvedimenti amministrativi a contenuto vincolato con l’effetto che detti vizi non sono più sanzionati a pena di nullità.

Atteso il prevalente orientamento dottrinario che assume l’applicabilità ai procedimenti tributari della L. 241/1990, ed in specie degli art. 21 septies ed octies, la questione investe il rapporto tra l’art.21 octies e l’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo tributario.

Le considerazioni che qui si vogliono svolgere presuppongono la necessaria definizione del concetto di vincolatezza.

L’art. 1, co. 1, L. proc. amm., afferma che l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge. Da ciò deriva che l’attività amministrativa non è libera, ma predeterminata nei modi di azione, nella tipologia degli atti e negli effetti che essi sono capaci di produrre, dalle norme (di diritto pubblico).

I principi dell’attività amministrativa trovano esplicita affermazione nell’art. 97 Cost. e nell’art. 41 della Carta Diritti U.E. e sono intesi ad assicurare una buona amministrazione, ovvero a garantire il rispetto delle posizioni soggettive giuridicamente protette.

Ciò premesso, sembra potersi dedurre che un atto è vincolato quando è emesso in presenza di un determinato presupposto stabilito per legge, di per sé idoneo ad escludere qualsiasi attività di tipo valutativo da parte dell’amministrazione procedente.

Ovviamente, non può negarsi che l’attività impositiva sia attività vincolata e, dunque, mai discrezionale. Ciò non di meno, è altrettanto evidente che gli atti di determinazione del tributo comportano una serie di attività di apprezzamento/valutazione da parte dell’ Amministrazione Finanziaria: dall’attività istruttoria volta a reperire gli elementi probatori che consentono di pervenire all’accertamento del fatto, al procedimento logico-giuridico al fine di giungere, in via diretta od induttiva, alle determinazioni di rettifica delle somme assoggettate a tassazione. Con la logica conseguenza che l’atto impositivo privo di motivazione od avente motivazione insufficiente conduce ex se ad escludere che non può mai essere palese per alcuno che (l’atto) poteva avere contenuto diverso da quello in concreto adottato.

In ambito tributario, dunque, quel che assume rilievo ai fini de qua è proprio il contenuto della motivazione, cioè l’esplicitazione dei presupposti di fatto e/o di diritto in presenza dei quali, ovvero mancando i quali, si è ritenuto necessario (in quanto attività vincolata) adottare quell’atto impositivo.

Del resto, sia le singole leggi di imposta che lo Statuto del Contribuente sanciscono l’obbligo di motivazione fissandone, altresì, il contenuto minimo. L’art. 42 del D.P.R. 600/1973, con riferimento alle imposte sul reddito, oltre a prevedere, a pena di nullità, l’esplicitazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato l’atto impositivo, stabilisce che lo stesso debba essere motivato in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai precedenti articoli, le quali, come è noto, ineriscono ai poteri istruttori.

Peraltro, con riferimento agli accertamenti induttivi e sintetici, la norma espressamente richiede la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a quei metodi.

Anche con riguardo all’IVA, l’art. 56 del D.P.R. 633/1972, comma 2, prevede la specifica indicazione, anche in questo caso, a pena di nullità, degli errori, delle omissioni e delle false od inesatte indicazioni su cui è fondata la rettifica ed i relativi elementi probatori, altresì precisando che per le omissioni ed inesattezze desunte in via presuntiva devono essere indicati i fatti certi che danno fondamento alla presunzione.

E’ appena il caso di inferire che la previsione a pena di nullità rinveniente in norme tributarie (speciali) prevale (principio di specialità) sulla norma generale, anche se successiva, secondo il principio derivato dalla ius latina lex specialis derogat legi generali; lex posterior generalis non derogat legi priori speciali.

Né, infine, può essere disatteso il rinvio ai principi comunitari contenuto nell’art. 1 della L. 241/1990, come novellato dall’art. 1 della L. 15/2005, nel quale è specificato che l’azione amministrativa è retta anche dai principi comunitari, nonché il recepimento della della Carta Diritti U.E. nel Trattato di Lisbona il quale, all’art. 41 rubricato “Diritto ad una buona amministrazione”, prevede, tra l’altro, l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia è costante nel ritenere che il difetto o l’insufficienza di motivazione integri la fattispecie del vizio sostanziale, mai formale, dal che, in forza del principio del primato del diritto UE, dovrebbe conseguire l’obbligo di disapplicare la normativa interna.