26 Settembre 2014

Stesso sport e stessa sede: secondo la CT di Bologna non c’è elusione

di Guido MartinelliMarta Saccaro
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Capita spesso di trovare associazioni sportive dilettantistiche che, pur avendo la
sede presso lo stesso indirizzo, costituiscono
soggetti autonomi. Non si tratta di polisportive nelle quali confluiscono sodalizi che sono attivi all’interno di differenti discipline sportive ma di
soggetti che operano nello stesso ambito e che però si pongono con
ragioni sociali differenti.
E’ accaduto, in passato, che in circostanze come quella sopra descritta, l’Agenzia delle Entrate confutasse la sussistenza di soggetti distinti e vedesse la “duplicazione” di associazioni solo come un
escamotage per
superare il tetto dei ricavi di 250.000 euro all’anno, posto ai soggetti che applicano la L. 398/1991. In pratica, secondo le Entrate, la costituzione di due soggetti formalmente identici ma sostanzialmente riconducibili alla stessa “regia” consente in maniera elusiva di
dirottare gli sponsor e gli inserzionisti sull’una o sull’altra associazione superando nel complesso il limite di 250.000 euro di ricavi ma continuando a beneficiare, per ciascuna associazione, dei vantaggi del regime fiscale forfettario.
Sotto questo profilo, però, le sentenze nn. 1041, 1042 e 1043 del 29 maggio 2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Bologna risultano fortemente innovative perché
“rompono” il sillogismo fin qui fatto dagli Uffici Tributari in base al quale, dato il limite di ricavi riconosciuti ai soggetti in 398, la costituzione di due soggetti “gemelli” sia sempre dettata da finalità elusive.
I giudici di Bologna ricordano infatti che
l’intento elusivo deve essere sempre provato dall’Ufficio che effettua la verifica nella supposizione che
“la creazione di due associazioni sinergiche, ma distinte, non sia frutto di una mera volontà di aggirare la normativa agevolativa ma sia diretta a tutelare interessi socio-economici in buona parte diversi dal risparmio fiscale. Nella fattispecie specifica si trattava di due soggetti che svolgevano, l’uno, attività agonistica e, l’altro, attività amatoriale nella medesima disciplina sportiva. I giudici hanno ritenuto che la possibilità di realizzare una maggiore divulgazione dello sport e l’allargamento della platea dei soggetti praticanti lo stesso sport a livello dilettantistico consentisse di raggiungere proprio quella
finalità sociale tutelata dalla normativa di vantaggio prevista per le associazioni sportive dilettantistiche. In maniera ancora più innovativa, poi, i giudici tra le righe fanno presente che, attraverso la costituzione di due associazioni,
non sarebbe comunque illegittimo realizzare un risparmio fiscale, ove questo non si concretizzasse nell’unico scopo per il quale i due enti si siano costituiti.
Per l’Agenzia delle Entrate tutto da rifare, quindi. Gli interventi dei giudici della Commissione Tributaria provinciale di Bologna sono sicuramente in controtendenza rispetto a quanto era emerso finora. E l’inversione di marcia è evidente anche quando, nella stesse sentenze, si prende una posizione sul divieto di effettuare movimentazioni finanziarie in contanti superiori al limite di 516 euro posto dall’art. 25, comma 5, della L. 33/1991. Secondo i giudici, infatti, il precetto sanziona i
pagamenti a favore delle associazioni e i
versamenti da queste effettuate mentre
non riguarda i movimenti interni alla stessa associazione (dalla banca alla propria cassa). Sempre a proposito di questa disposizione i giudici ricordano inoltre che
non è vietato effettuare diversi pagamenti alla stessa persona in un arco temporale determinato. I pagamenti che siano singolarmente al di sotto del limite previsto ed effettuati in tempi diversi e distanti fra loro non possono far ingenerare il sospetto di un frazionamento artificioso.
L’ultimo suggerimento da cogliere, tra le indicazioni contenute nelle sentenze richiamate, è relativo alle
modalità di documentazione dei rimborsi chilometrici. I giudici non hanno infatti mosso osservazioni poiché nei documenti erano riportati i motivi del rimborso, il tipo di auto utilizzata, la data, i chilometri percorsi e i relativi spostamenti, la data del rimborso e la relativa modalità con quietanza. A questo riguardo, osservano i giudici, per confutare la veridicità dei documenti di rimborso chilometrico, l’Ufficio avrebbe dovuto produrre vere
prove e non semplici supposizioni.