28 Marzo 2017

Spiragli per l’introduzione del voto capitario negli statuti delle SSD

di Luca Caramaschi
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Con la circolare 21/E/2003 l’Agenzia delle Entrate ha precisato che in forza dell’articolo 90, comma 1, della L. 289/2002, secondo cui le disposizioni della L. 398/1991 e le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle quelle costituite in società di capitali senza fine di lucro, può trovare applicazione nei confronti delle società sportive dilettantistiche la disposizione contenuta nell’articolo 148, comma 3, del Tuir.

Per poter beneficiare di detta norma agevolativa le società sportive dilettantistiche, al pari delle associazioni sportive dilettantistiche, devono integrare nel proprio statuto le clausole previste dal comma 18 dell’articolo 90 con quelle previste dal comma 8 dello stesso articolo 148 del Tuir.

Tra queste, tuttavia, ve ne sono alcune che presentano delicati profili di compatibilità con alcuni principi di diritto societario che necessariamente debbono andare a regolare le società sportive dilettantistiche e cioè società di capitali la cui disciplina è contenuta nel libro V del codice civile. In particolare andiamo a considerare il cosiddetto principio del voto singolo di cui all’articolo 2532, comma 2, del codice civile (ad oggi articolo 2538, comma 2, cod. civ.) richiamato dalla lettera e) del comma 8 del citato articolo 148 del Tuir.

L’inserimento di detta clausola negli statuti delle SSD trova spesso ostacoli insormontabili in sede di controllo notarile di legalità ai fini della relativa iscrizione nel Registro imprese e ciò proprio in virtù di un possibile contrasto delle stesse con le regole civilistiche che governano tali soggetti. Andiamo quindi di seguito a svolgere alcune considerazioni critiche, anche alla luce della recente apertura giunta nel corso del 2014 da parte del Consiglio del Notariato di Milano.

Il voto singolo (o per teste)

Il voto cosiddetto “capitario” non rappresenta un problema se il tipo sociale prescelto è quello della cooperativa e ciò in quanto l’articolo 2538, secondo comma, del codice civile prevede che nelle cooperative ciascun socio ha un solo voto, qualunque sia il valore della quota o il numero delle azioni. Più problematica è invece la questione in tema di Spa e Srl.

Partendo dalle prime, occorre richiamare l’articolo 2351 del codice civile che disciplina il diritto di voto nelle Spa.

Tale norma, dopo aver previsto la regola in base alla quale ogni azione dà diritto ad un voto, prevede una serie di eccezioni e modulazioni che statutariamente possono essere inserite fino alla totale privazione del diritto di voto. In particolare, dall’analisi del secondo e del terzo comma del citato articolo, si comprende come il Legislatore abbia voluto concedere all’autonomia privata la possibilità di modulare il diritto di voto con una certa libertà all’interno di una “forbice” costituita dalle azioni a voto pieno, da un lato, e da quelle totalmente prive di voto, dall’altro.

Prima della riforma del diritto societario, il principale argomento contrario all’ammissibilità del voto singolo era costituito dalla sua incompatibilità con la causa lucrativa che, non a caso, nelle società sportive non esiste: in sostanza, con il principio “una testa un voto” si determina una totale eguaglianza tra i soci nel senso che la partecipazione non costituisce più una misura del potere di voto e diventa irrilevante ai fini dell’attribuzione del numero di voti. Si passa, cioè, dal criterio dell’entità della partecipazione azionaria a quello della qualità di socio.

La critica relativa alla presunta incompatibilità del voto singolo con lo scopo lucrativo non è stata superata con la riforma del diritto societario e, comunque, non avendo le società sportive dilettantistiche scopo di lucro, si potrebbe affermare che non riguarda queste società. Piuttosto, l’attuale formulazione dell’articolo 2351 cod. civ. e, come detto, le variegate scelte statutarie che esso concede, potrebbero portare ad ammettere il voto singolo sulla base della considerazione che esso altro non è che l’estremizzazione ad unità del voto a scalare ed è un sistema di voto assolutamente contenuto nella predetta “forbice”.

Va segnalato, peraltro, come tale soluzione non sia assolutamente pacifica né in dottrina né in giurisprudenza: il Notariato della Campania, ad esempio, con la massima n. 18 dettata in materia di società consortili, precisa che l’adozione del voto “capitario” in una Srl o Spa “porterebbe allo snaturamento” di tali tipologie “creando un ibrido contrattuale non ammissibile alla luce della normativa imperativa contenuta nell’articolo 2249 cod. civ.”.

Parrebbe, quindi, quantomeno opportuno che, nell’impossibilità di introdurre nello statuto di una SSD la clausola del voto per teste per il rifiuto del notaio rogante, l’Amministrazione finanziaria precisasse in modo chiaro se tale fatto risulti impeditivo della fruizione delle agevolazioni di cui al comma 3 dell’articolo 148 del Tuir o, al contrario, se tale requisito, proprio in virtù delle specificità di tale soggetto giuridico, non debba essere preso in considerazione ai fini della predisposizione dello statuto. Si osserva, infine, come in assenza di istruzioni definitive, una possibile soluzione potrebbe essere quella di prevedere una medesima quota di partecipazione al capitale in capo a ciascun socio (ad esempio, due soci al 50 per cento, o cinque soci al 20 per cento), consapevoli, tuttavia, che una tale soluzione non può ritenersi risolutiva della questione.

Ancora diverso è il discorso relativo alle Srl, ancorché valgono in parte le medesime considerazioni svolte per le Spa.  A sostegno della tesi dell’ammissibilità di una siffatta clausola, va detto che la riforma del diritto societario ha notevolmente liberalizzato tale tipo sociale, consentendo ai soci di conformarlo alle proprie esigenze fino al punto di avvicinarlo ad una società di persone. Ed il voto per teste altro non è che la massima espressione della rilevanza della persona, elemento tipologico caratterizzante le società di persone. Si è detto, inoltre, che l’articolo 2479-bis, comma 3, del codice civile, nel prevedere i quorum assembleari fa salvo il patto contrario è cioè la derogabilità in maius ed in minus, fino a prevedere un semplice voto per teste. In tale scenario favorevole, tuttavia, un ostacolo difficilmente superabile sembra rappresentato dal contenuto dell’articolo 2479, quinto comma, del codice civile che, senza fare salva alcuna diversa disposizione statutaria, afferma chiaramente che “Il voto vale in misura proporzionale alla partecipazione”.

La posizione del notariato milanese

Con la Massima n. 138 del 13 maggio 2014 il Consiglio del Notariato di Milano pare offrire un “assist” alla soluzione del problema. Nel documento, infatti, si afferma che le disposizioni normative in tema di diritto di voto nelle Srl potrebbero indurre a ritenere, ad una prima lettura, che viga un principio inderogabile di spettanza proporzionale del diritto di voto a tutti i soci per tutte le decisioni di loro competenza. Da un lato, l’articolo 2479, comma 5, cod. civ., afferma che “ogni socio ha diritto di partecipare alle decisioni previste dal presente articolo ed il suo voto vale in misura proporzionale alla sua partecipazione“, senza fare espressamente salva una diversa disposizione dell’atto costitutivo. Dall’altro lato, l’articolo 2468 cod. civ., dopo aver sancito in via generale lo stesso principio di proporzionalità dei diritti dei soci (“salvo quanto disposto dal terzo comma del presente articolo, i diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta“), ne contempla una deroga stabilendo che “resta salva la possibilità che l’atto costitutivo preveda l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili“. L’affermazione della regola della proporzionalità del diritto di voto e la mancanza di una norma che espressamente ne consente la deroga hanno condotto una parte dei primi commentatori a sostenerne l’inderogabilità.

Siffatta interpretazione, tuttavia, secondo il notariato milanese, non appare convincente e non ha del resto convinto la dottrina più attenta che ha approfonditamente esaminato la questione negli anni successivi alla riforma del 2003. Numerose argomentazioni inducono quindi a sostenere che il principio dettato dall’articolo 2479, comma 5, cod. civ., costituisca in vero una regola dispositiva, al pari della corrispondente norma dettata in tema di Spa, là dove l’articolo 2351, comma 1, cod. civ., dispone che “ogni azione attribuisce il diritto di voto“.

La massima, infine, affronta espressamente la questione delle modalità e delle regole riguardanti l’introduzione e la soppressione delle clausole che derogano alla proporzionalità del diritto di voto di cui all’articolo 2479, comma 5, cod. civ.. In sede di costituzione, ovviamente, non si pone problema alcuno. Successivamente ad essa, sarà necessario il consenso unanime per l’introduzione, modificazione e soppressione di tutte le clausole che danno luogo a diritti particolari ai sensi dell’articolo 2468, comma 3, cod. civ., mentre sarà in linea di principio sufficiente la maggioranza richiesta dalla legge e/o dallo statuto per le clausole applicabili in via generale e astratta a tutti i soci.

Posto che ad oggi, nonostante la posizione di estrema apertura assunta dal notariato milanese, sono ancora presenti “resistenze” alla introduzione della clausola in commento da parte di taluni notai roganti, è auspicabile che l’Agenzia delle Entrate intervenga per chiarire quali sono i confini dell’agevolazione prevista dal comma 3 dell’articolo 148 del Tuir in assenza del requisito statutario contemplato dalla lettera e) del successivo comma 8.

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