23 Settembre 2015

Soccida monetizzata senza diritto alla detrazione Iva

di Luigi Scappini
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Tra i contratti collaborativi utilizzati nel comparto agricolo e, nello specifico in quello
dell’allevamento di animali, trova tutt’ora ampio utilizzo quello della
soccida, tipologia rientrante “
nell’ambito dei contratti associativi con comunione di scopo ed ha come precipua ragione pratica quella di realizzare un’attività economica in comune (inquadrabile nell’esercizio di attività agricola ex art. 2135 c.c.) volta all’allevamento e sfruttamento degli animali, al fine di ripartire l’accrescimento del bestiame e gli altri prodotti ed utili che ne derivano”.
La soccida trova la propria disciplina compiuta nell’articolo 2170 e ss. del cod. civ. e si caratterizza per la presenza di due soggetti, il soccidante e il soccidario, che stipulano un
contratto con lo scopo di allevare e sfruttare del bestiame (è indubbio che per averci soccida vi debba essere la gestione di una pluralità di animali), nonché esercitare le relative
attività connesse.
L’articolo 2170 cod. civ. non individua un contratto ma solamente il
genus, poiché il contratto si declina in 3 differenti categorie, in funzione delle
tipologie di conferimento eseguite dai due contraenti:
  • semplice;
  • parziaria e
  • con conferimento di pascolo (sebbene quest’ultima, a seguito della riforma di cui alla L. n. 203/1982, sia stata spesso riconvertita in affitto).
A queste forme contrattuali, se ne affiancano altre di tipico stampo regionale, quali, a titolo di esempio, l’alpeggio e la fida.
Ma, tornando alla soccida, essa prevede la presenza di un socio di capitale, il soccidante e di un altro di lavoro, il soccidario.
Nella
soccida semplice il soccidante conferisce gli animali in capo al soccidario che dovrà allevarli con la diligenza richiesta dall’articolo 2174 cod. civ..
Nella
soccida parziaria invece, lo dice lo stesso nome, gli animali vengono conferiti sia dal soccidante che dal soccidario.
Da ultimo, quella con
conferimento di pascolo, caratterizzata dal fatto che il bestiame viene conferito esclusivamente da parte del soccidante.
Per quanto attiene la durata del contratto, essa, nel silenzio delle parti si ritiene
triennale. La disdetta, sia nel caso di determinazione della durata contrattuale sia in ragione di quanto previsto dal codice civile, deve essere data, a pena di rinnovo automatico annuale, entro 6 mesi dalla scadenza, a prescindere dalla circostanza che il contratto ne preveda un termine.
Il bestiame che viene conferito per essere allevato è sotto la
responsabilità del soccidario con la conseguenza che ne dovrà rispondere in caso di morte, salvo dimostrazione di causa a lui non imputabile.
In tale ultima fattispecie, in presenza di un contratto di soccida semplice di durata superiore ai 3 anni, nel caso in cui il perimento degli animali intervenga prima che sia trascorso almeno metà del tempo, il soccidario ha facoltà di richiedere il
reintegro dei capi deceduti e, in caso contrario di recedere,
ex art.2176 cod. civ. dal contratto.
Tale facoltà è concessa anche nella soccida parziaria quando non vi è accordo tra le parti.
Lo scopo del contratto, come detto, è quello di procedere all’allevamento dei capi ai fini di un loro
accrescimento sia in termini numerici che qualitativi, infatti, al termine della soccida, la ripartizione sarà effettuata in ragione dei capi presenti e del loro valore intrinseco.
Ai fini fiscali, e nello specifico degli
aspetti Iva, particolare attenzione deve essere posta proprio in tale fase di divisione del frutto della soccida.
Spesso, infatti, si assiste a una ripartizione che origina la cosiddetta
soccida monetizzata ove il soccidante provvede a cedere sul mercato l’intero quantitativo di capi facenti parte della soccida e, in un secondo tempo, provvede a versare al soccidario la sua parte in denaro.
La fattispecie è stata oggetto di una recente
interrogazione parlamentare, la n. 5-04812 del 25 febbraio 2015, che ha confermato l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate secondo cui in tale fattispecie di soccida,
il soccidario non possa procedere a detrazione dell’Iva assolta in quanto, a prescindere dalla circostanza che lo stesso sia in regime speciale Iva
ex art.34 DPR n. 633/72 o in quello ordinario per opzione,
è necessario che egli provveda a vendere direttamente i capi, di modo da compiere un’operazione attiva.
In linea con l’interpretazione della prassi anche la giurisprudenza di legittimità, come da ultimo la recente n.14971/2015 che afferma come “
In tema di Iva, non ha diritto alla detrazione prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, art.19, il soccidario per le spese sostenute per l’attività dedotta nel rapporto associativo, nel caso in cui la commercializzazione del bestiame sia stata effettuata esclusivamente dal soccidante, ancorché il soccidario abbia percepito gli utili conseguenti allo svolgimento del rapporto di soccida, per le quali le parti abbiano concordato la monetizzazione degli stessi in suo favore” (cfr. sentenze n.21491/2005, n.8727/2013 e n.27715/2013).
Inoltre, la sentenza sottolinea come non sia azionabile quanto previsto dall’art.19, comma 3 D.P.R. n. 633/1972 nel caso di operazioni aventi a oggetto denaro, in quanto in questo caso si verte della suddivisione di utili derivanti da un rapporto associativo.
 
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