10 Maggio 2014

Si scomputano le ritenute non versate dal cliente?

di Giovanni Valcarenghi
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Negli studi professionali si sta facendo, in questo periodo, il controllo della presenza delle certificazioni delle ritenute d’acconto; la “caccia” al fatidico pezzo di carta, infatti, è il primo degli ostacoli che devono essere superati per poter scomputare le imposte che i committenti hanno versato per nostro conto.

Sappiamo che l’Agenzia delle entrate, con risoluzione 68/E/2009, ha consentito la possibilità di dimostrare l’avvenuta trattenuta anche con modalità alternative, sino a tollerare una autocertificazione del sostituito, accompagnata da riscontri contabili e bancari che testimonino l’introito del solo importo netto.

Pertanto, quello che potremmo definire aspetto “cartaceo – formale” non costituisce più una vera difficoltà, potendo essere superato sia pure con un minimo sforzo di natura amministrativa.

Invece, il vero problema, visto il periodo di difficoltà finanziarie che interessa le aziende, è costituito dai possibili risvolti connessi al mancato versamento della ritenuta da parte del sostituto, circostanza che, molto spesso, risulta a conoscenza del professionista che ha subito la trattenuta. Al riguardo, va subito rammentato che la questione è assolutamente seria, in quanto la Cassazione sembra avere assunto una posizione consolidata nel sostenere il seguente principio: il sostituito deve ritenersi già originariamente, e non solo in fase di riscossione ex art. 35 del DPR 602/1973, coobbligato con il sostituto, fermo restando il diritto di regresso (Cassazione 14033/2006, 24962/2010, 23121/2013).

Insomma, secondo la giurisprudenza di legittimità, non è affatto vero che il semplice fatto di avere incassato una somma netta legittimi la facoltà di scomputo della ritenuta, almeno in tutte quelle ipotesi in cui le somme non siano state versate all’Erario. Diversamente, a parere dei Giudici, le casse dello Stato ci si troverebbero in una situazione di squilibrio, dovendo riconoscere un credito ad un soggetto senza avere incassato alcunché.

In linea di principio, tuttavia, va affermato che tali conclusioni non sembrano essere supportate da alcuna disposizione di legge. Ad esempio, l’articolo 22 del TUIR afferma che, dall’imposta determinata, si scomputano, tra l’altro, le ritenute d’acconto operate anteriormente alla presentazione della dichiarazione dei redditi; il fatto che si sia utilizzato il termine “operate” e non quello “versate”, sembrerebbe contrastare con il parere della Cassazione. Peraltro, anche l’articolo 4 del DPR 322/1998 prevede che il sostituto debba certificare le ritenute “operate”, in perfetta sintonia con quanto previsto dal TUIR ed in perfetta antitesi con quanto ricavabile dalla giurisprudenza. Per completezza, l’articolo 10-bis del Decreto Legislativo 74/2000 prevede sanzioni penali (sia pure al superamento della soglia dei 50.000 euro) per colui che non versa, entro il termine di presentazione del 770, le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti. Dall’escalation di norme richiamate, si nota come il sistema tributario attribuisce alla certificazione una importanza preminente e, la stessa Agenzia, nel momento in cui consente una prova alternativa alla certificazione (che potrebbe non essere stata rilasciata proprio in quanto non sono state versate le somme), sembra instradare verso una direzione opposta rispetto a quella della Cassazione.

L’articolo 35 del DPR 602/1973, evocato nelle sentenze sopra citate, si riferisce esclusivamente alle ritenute operate a titolo di imposta (e non a quelle a titolo d’acconto, di cui si discute) e, peraltro, prevede che scatti la solidarietà solo nel momento in cui il sostituto viene iscritto a ruolo; diversamente, all’atto pratico capita che il recupero delle ritenute avvenga, in capo al sostituito, in sede di controllo formale della dichiarazione e senza alcun cenno al fatto che sia già avvenuta l’iscrizione a ruolo del soggetto obbligato al versamento.

L’articolo 64 del DPR 600/1973, inoltre, in tema di sostituto e responsabilità di imposta, prevede che il sostituito ha la facoltà di intervenire nel procedimento di accertamento, circostanza che raramente si verifica all’atto pratico. La stessa norma, però, afferma anche che chi è obbligato al pagamento insieme con altri ha diritto di rivalsa, ed in tale aspetto si potrebbe intercettare un possibile punto a favore della tesi della Cassazione.

Insomma, il tema appare talmente nebuloso che non sembrano esserci vie d’uscita; da un lato appare, infatti, assurdo che si rinunci allo scomputo di quanto non incassato (dovendo comunque dichiarare il compenso lordo), mentre per altro verso non si riesce a sfuggire al possibile rischio di una contestazione, che impone non solo la restituzione delle ritenute scomputate, ma anche la maggiorazione di interessi e sanzioni. Ed anche tale circostanza ci pare alquanto bizzarra, in quanto il sostituito finisce per essere sanzionato per una violazione commessa dal sostituto.

Non sembra esserci altra via d’uscita se non quella di “disapplicare” le norme del DPR 600 in modo “artigianale”, quantomeno per i clienti dei quali si dubita del buon fine del versamento; si incassi l’intero e si provveda al versamento della ritenuta con F24 a nome del sostituto.

Qualcuno potrebbe opporci di sostenere un comportamento non in linea con le vigenti norme, ed avrebbe pienamente ragione; tuttavia, non ci pare neppure legittimo dover subire un doppio danno, corrispondente alla decurtazione del compenso (prima) ed alla restituzione delle ritenute (poi).

Il tema è davvero delicato e meriterebbe un ripensamento delle regole o l’affermazione di una assoluta indipendenza tra i due soggetti coinvolti nel rapporto tributario.