31 Agosto 2016

Servizi ausiliari a beneficio di una consociata estera

di Fabio Landuzzi
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La recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano n. 5590 del 24 giugno 2016 ha affrontato un interessante caso di transfer price, in quanto avente per oggetto un modello di organizzazione della supply chain piuttosto diffuso nell’ambito dei gruppi multinazionali.

Nel caso specifico, il gruppo operante su scala mondiale aveva costituito in Svizzera una struttura che svolgeva attività di grossista per l’intero gruppo. La consociata italiana, invece, svolgeva prestazioni riconducibili ad attività ausiliarie e preparatorie per conto della consociata svizzera che si sostanziavano in funzioni di assistenza per la verifica del rispetto degli standard tecnici minimi previsti dalla direzione del gruppo, di aggiornamento della lista e delle informazioni sui fornitori e dei prodotti da loro forniti, di trasmissione ai fornitori delle domande tecniche in merito ai prodotti, di assistenza ai fornitori in merito agli ordini di acquisto, di assistenza nel coordinamento e nella pianificazione degli ordini e dei tempi di consegna dei prodotti destinati al grossista svizzero, di elaborazione di report statistici ad uso della società svizzera, di esecuzione di controlli a campione sui prodotti, di intervento in caso di emersione di difettosità di prodotti, ed altri simili.

La società italiana non aveva alcun titolo e quindi non svolgeva affatto attività di negoziazione degli acquisti con i fornitori italiani, né assumeva alcuna decisione in ordine all’acquisto dei beni per conto del grossista svizzero.

A fronte di questa attività, la società italiana riceveva dalla società svizzera una remunerazione pari ai costi sostenuti aumentati di un mark up del 5%.

Di contro, l’Amministrazione finanziaria aveva contestato alla società italiana di svolgere in concreto la funzione di approvvigionamento dei prodotti dai fornitori italiani e di selezione dei fornitori, un’attività che secondo l’Ufficio era solo formalmente e apparentemente ascritta alla società di diritto svizzero; di conseguenza, contestava alla società italiana un maggior reddito non dichiarato, corrispondente proprio alla maggiore remunerazione che veniva tratta dalla società svizzera pari al 5,5% del prezzo dei prodotti compravenduti.

I Giudici milanesi, con una sentenza argomentata in modo molto dettagliato e con un sistematico percorso motivo, hanno accolto il ricorso della società italiana dando particolare rilevanza ai seguenti punti:

  • in primo luogo, è stata data rilevanza alla analisi funzionale da cui si è evinto, grazie anche alle prove documentali prodotte dal contribuente, che la società italiana svolgeva in concreto attività di contenuto ausiliario e preparatorio per conto della consociata svizzera, ed in modo particolare essa non assumeva alcun rischio significativo; gli unici rischi erano circoscritti al danneggiamento di materiali e ad infortuni di dipendenti, peraltro debitamente coperti da assicurazione;
  • il modello organizzativo del gruppo risultava meritevole di comprensione, considerato il respiro mondiale dell’attività svolta, a cui si rapportava invece la stretta localizzazione della società italiana che era limitata al solo mercato di approvvigionamento italiano;
  • la società italiana aveva altresì prodotto uno studio di una primaria società di consulenza il quale dimostrava che la remunerazione percepita dalla società italiana era adeguata, e addirittura superiore, a quella di mercato;
  • l’approccio dell’Amministrazione non era supportato da alcun riferimento ai modelli proposti dalle Linee Guida Ocse, ed anzi i risultati dell’accertamento apparivano del tutto improbabili in termini di redditività attribuita alla società italiana;
  • la società svizzera era caratterizzata da una consistente struttura, tutt’altro che riconducibile ad una semplice “scatola vuota”, in termini di investimenti, di risorse impiegate, di rischi di mercato assunti.

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