29 Giugno 2015

Senza l’allegazione della denuncia niente raddoppio dei termini

di Luigi Ferrajoli
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La questione del raddoppio dei termini, introdotto dall’art.37 del D.L. n.233/06, previsto nelle ipotesi di violazione penale tributaria, è ancora oggetto di discussione.

La Commissione Tributaria Regionale di Venezia – Mestre, Trentesima Sezione, con sentenza n. 561 del 24 marzo 2015 si è pronunciata proprio su tale argomento, con una interessante motivazione che merita di essere segnalata.

Con più avvisi di accertamento per l’anno di imposta 2006 emessi nei confronti di una società e dei suoi soci, l’Agenzia delle Entrate rettificava la dichiarazione dei redditi accertando l’utilizzo di costi relativi ad operazioni oggettivamente inesistenti, nonché l’omessa effettuazione di ritenute sugli utili presuntivamente occultati e, con riferimento ai soci, l’omessa contabilizzazione di utili percepiti per maggiori redditi societari.

I ricorsi presentati dalle parti venivano riuniti e la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva le impugnazioni perché gli accertamenti erano stati posti in essere oltre i termini di cui all’art.43, co.1, D.P.R. n.600/73 e 57, co.1, D.P.R. n. 633/72, a cagione della mancata allegazione della denuncia penale che comporta il raddoppio dei termini accertativi. Secondo la CTP, tale allegazione sarebbe necessaria onde consentire al Giudice di valutare se i presupposti dell’obbligo di tale denuncia siano effettivamente sussistenti.

A seguito di appello presentato dall’Agenzia delle Entrate per violazione del richiamato art.43, come interpretato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 247 depositata in data 25.07.2011, i contribuenti presentavano controdeduzioni ed appello incidentale, insistendo per la conferma della sentenza appellata. La Commissione Tributaria Regionale di Venezia – Mestre ha rigettato l’impugnazione dell’Ufficio condividendo le motivazioni proposte dal Giudice di prime cure.

In particolare, la CTR ha evidenziato che il raddoppio dei termini è stato introdotto per consentire all’Agenzia delle Entrate di utilizzare l’esito delle indagini penali al fine di completare le proprie e meglio motivare gli avvisi di accertamento.

Su tale indefettibile premessa, la Commissione Tributaria Regionale ha affermato chiaramente che “Purtroppo nella pratica l’utilizzo del raddoppio dei termini è stato usato a prescindere dall’effettiva violazione penale commessa dal contribuente ed ancor oggi l’Agenzia ritiene praticabile questa previsione anche senza l’invio della notizia di reato al PM”. Conseguentemente, osservando che l’art.8, co.2, della legge delega n.23/14, prevede modifiche in tal senso, la CTR sottolinea che tale interpretazione dell’Ufficio non possa essere condivisa.

Nella sentenza in esame, viene argomentato che il pubblico ufficiale verificatore deve comunicare al Pubblico Ministero, “senza ritardo”, la notizia di reato e se ciò non avviene significa che tale ipotesi non sussiste, perciò l’Amministrazione non può fruire del raddoppio dei termini.

La Commissione Tributaria Regionale ha anche osservato che la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 247 del 2011, ha specificato che “il raddoppio dei termini fonda la sua causa nell’obbligo di presentazione della denuncia penale che così fissa un nuovo termine di decadenza, quindi non un raddoppio dei termini”. Tale accorgimento è stato pensato e introdotto al fine di “evitare un uso distorto e strumentale della notizia di reato volto al solo scopo di raddoppiare le scadenze per l’accertamento”.

Secondo la CTR, il giudice tributario deve dunque dare un giudizio di “prognosi postuma” sull’esistenza degli indizi di reato ed evidenza che “il significato di questa decisione risiede (si ritiene) nel dover provare che l’Amministrazione ha ben agito nell’esclusiva ottica dell’interesse pubblico e non abbia invece usato tale possibilità per altri (inconfessati e inconfessabili) fini”. Per tali ragioni, afferma la Commissione, “i giudici di merito hanno già bocciato il raddoppio in assenza della copia della denuncia penale”, in quanto se i giudici medesimi sono tenuti alla prognosi postuma in parola, devono avere gli strumenti per farlo. Tale strumento non può essere appunto che la richiamata denuncia.

La Commissione, infine, a completamento del proprio iter argomentativo, ha aggiunto che, secondo la bozza del decreto legislativo citato, il raddoppio dei termini scatterà solo se l’Amministrazione inoltrerà la comunicazione di notizia di reato alla Procura della Repubblica entro l’ordinaria decadenza prevista per quel determinato periodo di imposta, mentre per gli atti di controllo già notificati l’Agenzia potrebbe beneficiare del raddoppio anche senza l’invio della denuncia entro i termini di decadenza.