28 Giugno 2014

Scusi mi controlla l’atto?

di Ennio VialVita Pozzi
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Il trust è un istituto che si sta sviluppando sempre di più ma che rimane comunque un fenomeno di nicchia. Peraltro, gli operatori seri del settore non sono nemmeno interessati alla massificazione dello stesso.

Un filone di lavoro che si sta sviluppando in questi periodi è rappresentato dal controllo dell’atto stipulato precedentemente, magari senza l’assistenza di un consulente preparato. In questi casi l’improvvisazione è sovrana, e nel 2014 esiste anche chi è ancora convito che basti riciclare una bozza di atto fatta da qualcun altro.

Ma è possibile un controllo di questo tipo? La risposta non è così scontata perché l’analisi dell’atto istitutivo e degli atti dispositivi sono di sicuro aiuto ma è necessario altresì valutare la situazione concreta che ha portato ad orientarsi verso il trust, il contegno delle parti in sede di istituzione e di gestione del veicolo, eccetera.

La prima osservazione da fare quindi è quella di evidenziare come l’atto risenta molto del caso concreto per cui non c’è sempre un concetto di giusto o sbagliato ma di opportunità rispetto alle circostanze. In secondo luogo, anche la vetustà dell’atto non è scevra di conseguenze. E’ evidente come, soprattutto sotto il profilo della chiarezza del regime fiscale applicabile all’istituto, gli atti stipulati prima del 2007 sfruttino per così dire una “tecnologia antiquata” in quanto non fanno propri i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con le circolari n. 48/E/2007 e 61/E/2010 rispettivamente in materia di fiscalità e di interposizione del trust.

E’ evidente che gli aspetti fiscali del nostro trust sono una conseguenza della regolamentazione civilistica ma è anche chiaro che una lettura attenta degli orientamenti dell’Agenzia ci permette di inserire talune clausole che esprimano in modo chiaro, ad esempio, se il trust è trasparente od opaco, mettendoci al sicuro da possibili contestazioni future.

La lettura di questi atti fanno emergere alcune riflessioni. Innanzitutto, capita di vedere “violentata” la circolare n. 61/E/2010 in materia di interposizione del trust.

Certo, l’aspetto fiscale non è sicuramente il motivo determinante dell’istituzione ma è evidente che le fattispecie incriminate evidenziate dall’Agenzia diano comunque al trust un sapore di lavoro malfatto, di situazione in cui il disponente non voleva effettivamente spossessarsi del patrimonio, conservando piuttosto un potere invasivo sul trustee.

Le unghie del disponente sul patrimonio e sulla gestione dello stesso sono gli aspetti più critici di molti trust. “Ma scusi, vuole che mi fidi ciecamente del trustee?”

Ricordiamo che trust significa letteralmente fiducia. La cosa che mi ha imbarazzato, tuttavia, è stato esaminare un atto di trust copiato di sana pianta da una mia bozza. Con stupore ho rilevato come nemmeno questo potesse stare in piedi.

La ragione banalissima sta nel fatto che ogni atto è un caso a sè.

Gli errori o le clausole inopportune che si riscontrano più spesso attengono alla successione delle figure del trust in caso di morte, dimissione o revoca. La questione va affrontata in modo diverso, ad esempio, a seconda dell’età del disponente;se il disponente è ottantenne ed il trust ha una durata notevole nel tempo è evidente che sarà quanto mai opportuno individuare un soggetto alternativo che possa nominare il nuovo guardiano in caso di necessità.

Anche questa mia valutazione, tuttavia, non è necessariamente corretta. Nel caso di specie, ad esempio, la cosa era voluta in modo da affidare un reale potere gestorio al guardiano che difficilmente era rimovibile e che quindi si poneva come dominus dell’atto. Tirando la coperta da questa parte, tuttavia, rimane scoperto il problema dell’interposizione.

Queste brevi note, forse in parte non del tutto nuove, per ricordare che ogni situazione deve essere analizzata compiutamente, che ogni atto, anche se simile per il 90% delle parole ad uno precedente, è sempre un qualcosa di unico: quel 10% modificato può conferire all’insieme un colore nettamente diverso da quello di un’altra situazione.