5 Dicembre 2015

Sanzione penale scaccia sanzione amministrativa

di Comitato di redazione
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La recente riforma delle sanzioni penali ed amministrative fornisce l’occasione per ragionare attorno ad un tema che richiede ancora una sedimentazione precisa, vale a dire la possibile concorrenza nell’applicazione di sanzioni penali ed amministrative.

La vicenda è stata sollecitata a seguito di una pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, in relazione al panorama normativo italiano, ha riscontrato una situazione di irregolare sovrapposizione di sanzioni.

Nonostante potesse ritenersi di essere collocati a livelli molto superiori a quelli di interesse per la quotidianità dei professionisti, ci sono state recenti pronunce di merito che si sono già espresse sull’argomento, accogliendo le istanze del contribuente.

Infatti, la sentenza della CTP di Reggio Emilia, n. 406 del 13-10-2015, si occupa proprio della vicenda e, pertanto, è utile fonte di innesco del ragionamento.

Una società impugnava un avviso di accertamento per l’anno di imposta 2012, con il quale veniva accertata – ai fini Iva – un’imposta dovuta di Euro 187.587,00 quale eccedenza detraibile o rimborsabile dichiarata superiore a quella spettante, di cui:

  • euro 128.311,00 afferente fatture per operazioni ritenute “soggettivamente inesistenti”;
  • euro 59.285,50 quale recupero Iva per irregolare emissione di fatture in regime di non imponibilità in violazione dell’articolo 41 D.L. n. 331 del 1993.

A fronte di una sostanziale difesa sterile nel merito, sulla  quale non ci soffermiamo in quanto non di interesse in questa sede, il difensore ha l’accortezza di richiedere – in via subordinata – l’inapplicabilità delle sanzione “comminata in misura massima per dichiarazione infedele e con violazione del principio del ne bis in idem, conseguente alla violazione dei prìncipi cardine del diritto Comunitario che contrastano il dettato degli articoli 2 e 4 del protocollo CEDU e art. 50 della Carta Europea per il fatto della duplicazione delle sanzioni in sede amministrativa e in quella penale per la medesima violazione”.

In fase cautelare, la sospensione della esecutività dell’atto veniva concessa, essendosi attribuita una preminente importanza all’aspetto del “periculum in mora“, derivante dalla situazione di grave perdita e difficoltà economica della società gravemente pregiudicata nel versamento delle ingentissime somme pretese, considerati gli accertamenti su diversi anni, dal 2007 al 2012.

Nonostante ciò, le richieste nel merito (in via principale) sono state rigettate dalla CTP, che riscontra invece come fosse chiaro il coinvolgimento della società nella situazione di frode delle controparti.

Invece, in ordine alla subordinata infondatezza dell’irrogazione delle sanzioni, applicate in misura massima, misura che dovrebbe essere riportata equitativamente ad una sola volta la maggiore imposta e non al doppio, in considerazione delle circostanze e precisazioni rese dal rappresentante legale della società in sede di interrogatorio delegato ex 370 e 415-bis c.p.p., “essa è fondata anche in virtù del grave pregiudizio derivante dal rischio della duplicazione delle sanzioni in sede amministrativa e in quella penale, stante la problematica delle due diverse tipologie sanzionatorie sulla medesima fattispecie, sollevata, ma non ancora risolta a seguito della sentenza CEDU, divenuta definitiva nel luglio 2014, nel caso “G.S. e altri /contro Italia “.

Con tale sentenza la CEDU ha ravvisato l’illegittimità del sistema legislativo italiano che applica il principio delle doppia sanzione, in relazione al doppio binario penale-amministrativo previsto dai legislatore in materia tributaria, consacrando il principio del bis in idem previsto nell’articolo 4 del protocollo (…) della Convenzione, atteso che, tale sentenza afferma che “ciò che conta ai fini dell’applicazione del divieto del ne bis in idem convenzionale è l’identità del fatto, naturalisticamente inteso, al di là di eventuali diversità degli altri elementi costitutivi della fattispecie penale e di quella amministrativa”.

Non sembra che sussistano molto dubbi sul fatto che la condotta, nelle fattispecie in esame, sia la stessa in quanto presupposta e riferita a fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000.

Sulla problematica in essere, considerata la qualificazione delle norme della CEDU e dei relativi protocolli, quali norme interposte ex articolo 117, primo comma della Costituzione, “non essendo possibile una interpretazione convenzionalmente orientata della norma interna”, la Corte di Cassazione, con ordinanza n.950/2015 della V sezione Tributaria Civile di remissione degli atti alla Corte Costituzionale, ha denunciato di illegittimità costituzionale le norme del TUF che avevano, nel caso G.S. c. I., portato all’applicazione delle sanzioni amministrative, ponendo la questione della legittimità del sistema italiano del doppio binario nella parte in cui prevede la comminatoria congiunta della sanzione penale e della sanzione amministrativa (Europenale secondo i parametri CEDU) prevista per il medesimo illecito oggetto di giudicato penale.

Da questo ragionamento, i giudici ricavano la correttezza della non applicabilità delle sanzioni irrogate nell’avviso; quindi, le imposte saranno dovute, mentre le sanzioni amministrative restano assorbite da quelle penali.

La questione è talmente ampia che riteniamo corretto doverla monitorare, in quanto si potrebbe applicare in ogni circostanza nella quale vi siano vizi di natura penale.