22 Settembre 2015

Riscossione e Legge Delega: ancora un difetto di trasparenza

di Giovanni Valcarenghi
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Il decreto attuativo della legge delega in tema di riscossione contiene, a parere di chi scrive, taluni interventi di dubbia utilità per il contribuente che, al contrario, riflettono un chiaro sbilanciamento a favore dell’Amministrazione finanziaria, correndosi così il rischio evidente di impedire che, sulle questioni importanti, si possa davvero realizzare quel tanto auspicato rapporto paritetico tra Amministrazione e contribuente.

Per comprendere meglio gli spunti critici di cui sopra, appare necessario rammentare il contenuto della Legge 228/2012 ed, in particolare, l’articolo 1, commi 538 e seguenti; si tratta della possibilità, per il contribuente raggiunto da un atto di riscossione di Equitalia, di manifestare le proprie perplessità esigendo una risposta dall’ente, in difetto della quale poteva addirittura giungersi alla caducazione della pretesa.

Su tale norma interviene il decreto attuativo della riscossione, apportando talune modifiche che non possono essere condivise.

Le modifiche possono essere così riassunte:

  • Innanzitutto, si accorcia il termine entro il quale è possibile manifestare le proprie doglianze, prevedendosi che le medesime possano essere trasmesse, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, e non più entro 90 giorni (senza che fosse precisata la sorte del ritardo) come in precedenza. Tale modifica potrebbe essere considerata coerente, se si considera che i 60 giorni coincidono con la scadenza del pagamento della cartella esattoriale;
  • in secondo luogo, e qui sta l’intervento che merita la maggiore critica, si limitano in modo indebito le motivazioni (tassative) al ricorrere delle quali si può attivare la procedura. Restano, infatti: a) la prescrizione o decadenza del diritto di credito sotteso, intervenuta in data antecedente a quella in cui il ruolo è reso esecutivo; b)  l’esistenza di un provvedimento di sgravio emesso dall’ente creditore; c)  la presenza di una sospensione amministrativa comunque concessa dall’ente creditore; d) la presenza di una sospensione giudiziale, oppure di una sentenza che abbia annullato in tutto o in parte la pretesa dell’ente creditore, emesse in un giudizio al quale il concessionario per la riscossione non ha preso parte; e)  l’esistenza di un pagamento effettuato, riconducibile al ruolo in oggetto, in data antecedente alla formazione del ruolo stesso, in favore dell’ente creditore. Viene invece abrogata la lettera f), nella quale veniva prevista l’ipotesi di “qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito sotteso”. E qui si può dolersi, per il semplice fatto che le precedenti ipotesi rappresentano dei sacrosanti diritti del contribuente a vedere annullata la pretesa, in quanto aventi natura oggettiva. Diversamente, l’ipotesi residuale abrogata poteva accogliere, come pareva corretto dovesse essere, altre motivazioni di natura giuridica che riguardavano il rapporto con l’ente creditore. Così operando, invece, si preclude la possibilità di censura al contribuente, e ciò rappresenta un inspiegabile peggioramento della situazione già esistente; bisogna invece ricordare che, così come il fisco può avanzare una pretesa infondata, anche al contribuente dovrebbe poter essere ammesso di attivare apposite procedure per bloccarla;
  • la procedura ante modifiche prevedeva l’obbligo, per l’ente creditore, di comunicare entro 60 giorni dall’attivazione della richiesta di chiarimento, l’esito dell’analisi. Ora, la norma modificata elimina il termine suddetto, che in precedenza era ritenuto non perentorio. Diversamente, andava ben ritenuto che, ove l’ente adito non si fosse pronunciato nei termini, il contribuente poteva (e doveva) ricevere apposita tutela dall’ordinamento, essendo pendente il suo diritto ad ottenere una risposta ad una specifica istanza. Inoltre, la norma modificata sancisce che, sino alla risposta dell’Ente, resta sospeso il termine dell’articolo 53, comma 1, del DPR 602/1973, vale a dire la perdita di efficacia del pignoramento, ove effettuato (quindi, eliminato il termine, si resta in balia della efficienza dell’ufficio, e ciò pare concettualmente sbagliato, così come è concettualmente sbagliato il solo poter pensare che esista un termine ordinatorio e non perentorio!);
  • si precisa che la reiterazione della richiesta non è ammessa ed, in ogni caso, non determina la sospensione delle iniziative finalizzate alla riscossione.

Fatto questo excursus, si spera che il lettore possa condividere il tono critico del commento, in quanto si è agito (certamente su istanza dell’amministrazione) esclusivamente per sterilizzare uno strumento che si è rivelato molto efficacie, sia pure se poso conosciuto ed utilizzato dal contribuente.

Infatti, non vi era nulla di più sensato se non la possibilità di rimuovere una pretesa (magari infondata) in modo del tutto:

  • libero;
  • veloce;
  • non dispendioso;
  • ribaltando l’onere del controllo sul soggetto che presume di vantare un credito.

Diversamente, la Legge Delega, nonostante lo spirito della medesima fosse quello di semplificare e rendere più equo il sistema tributario, interviene ad esclusivo vantaggio dell’amministrazione, forse per tacitare le lamentele di qualche ufficio che si trovava a dover rendere conto del proprio operato.

Qualcuno potrebbe pensare che vi sono, come in effetti è, strumenti alternativi per richiedere la revoca della pretesa, come ad esempio l’autotutela; la differenza abissale, tuttavia, risiedeva nel fatto che la procedura in analisi (prima che venisse “azzoppata”) consentiva di ottenere in tempi certi e rapidi una legittima risposta, diversamente dalle altre procedure.

In questo caso, dunque, giudizio negativo sull’intervento del Legislatore.