18 Dicembre 2014

Riduzione termini fusione: come si manifesta il consenso?

di Giovanni Valcarenghi
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La procedura della fusione societaria trova indicazioni ben precise nelle norme che il codice civile detta in relazione alla realizzazione della operazione, contrariamente ad altre casistiche, quali il conferimento.

In particolare, l’iter appare “infarcito” dalla indicazione di termini temporali minimi che, tuttavia, possono essere superati mediante l’acquisizione del consenso unanime dei soci.

Ne è un esempio l’articolo 2501-ter, comma 4, che, in tema di progetto di fusione, afferma che tra la iscrizione al registro imprese (o la pubblicazione sul sito internet della società) e la data fissata per la decisione in ordine alla fusione devono intercorrere almeno 30 giorni (15 giorni, nel caso in cui alla fusione non partecipino società con capitale rappresentato da azioni), salvo che i soci rinuncino al termine con consenso unanime.

In stretto collegamento, l’articolo 2501-septies prevede che debbano essere depositati presso la sede della società, durante i 30 giorni che precedono la decisione e sin che la fusione sia decisa, il progetto di fusione con le relazioni (ove redatte), i bilanci degli ultimi tre esercizi delle società partecipanti alla fusione (con le relazioni di revisione legale) e le situazioni patrimoniali delle società partecipanti alla fusione. Anche in merito a tale documentazione, viene prescritto che sia possibile la rinuncia unanime da parte dei soci.

Analogamente, il successivo articolo 2501-quater prevede che la situazione patrimoniale di fusione non è richiesta se vi rinunciano all’unanimità i soci ed i possessori di altri strumenti finanziaria che attribuiscono il diritto di voto di ciascuna delle società partecipanti alla fusione.

Sulla stessa scia, prevedono i successivi articoli 2501-quater (relazione dell’organo amministrativo) e 2501-sexies (relazione degli esperti).

In sostanza, con la riforma del 2004 è stato dato risalto alla interpretazione pregressa che riteneva già possibile operare la rinuncia del termine, poiché quest’ultimo si riteneva previsto nell’esclusivo interesse dei soci a poter visionare ed analizzare il fascicolo dei documenti depositati presso la sede sociale, in modo da giungere informati al momento della decisione in merito alla fusione.

Tuttavia, le interpretazioni non risultavano univoche, poiché a fianco di decisioni conformi (Corte Appello di Torino, 18.05.1995) se ne registravano altre di stampo opposto (Tribunale di Verona, 24.03.1995); oggi, invece, la via pare tracciata a livello legislativo.

Ciò che non è possibile, invece, è una rinuncia preventiva e generalizzata contenuta in una clausola statutaria, poiché risulta corretto lasciare alla volontà dei soggetti interessati la decisione specifica (e unanime) in merito alla eventuale necessità di maggior tempo per riflettere.

Nonostante la disposizione sia contenuta nell’articolo dedicato al progetto di fusione, vi sono pareri unanimi in dottrina per ritenere che tale rinuncia non possa estendersi al deposito del progetto di fusione al registro delle imprese, poiché quest’ultimo appare documento utile non solo ai soci, ma anche a soggetti terzi.

Chiarito il perimetro applicativo, va detto che nessuna indicazione è stata inserita nella norma in merito al luogo ed alle modalità con cui vada manifestato la decisione in merito alla rinuncia del termine, potendosi allora evocare differenti casistiche comportamentali.

In assenza di prescrizione, sembra logico ritenere che la rinuncia possa essere effettuata tanto prima della riunione assembleare quanto durante i lavori (rectius, all’avvio dei lavori) della medesima.

Anche in merito alla forma della rinuncia mancano specifiche indicazioni o richieste della norma, dovendosi pertanto affermare il principio della libertà, con la conseguenza che si potrà raccogliere il consenso in qualsiasi modo.

Ai soli fini di necessaria prudenza, però, ci pare che la migliore prassi correttamente consigli:

  • la raccolta del consenso degli interessati in forma scritta, preventivamente all’assemblea;
  • l’opportunità di far constare la circostanza, ad opera del Presidente, nel verbale di assemblea, con un opportuno raccordo nell’ordine del giorno.

La procedura così delineata evita problemi di difficoltà nell’assolvimento dell’onere probatorio a carico dell’organo amministrativo in sede di eventuale contestazione.

A rafforzamento di quanto sopra detto, la migliore dottrina ritiene non sufficiente, in mancanza della manifestazione esplicita del consenso, una assemblea totalitaria nella quale nessun socio si opponga alla trattazione dell’ordine del giorno “in anticipo” rispetto al termine di legge. E ciò, probabilmente, per due ordini di motivazioni:

  • la prima, che attiene la sfera esclusivamente personalistica (in capo al socio) della facoltà di scegliere la rinuncia al termine, circostanza che mal si attaglia con la sede assembleare ove invece si forma una volontà dell’ente e non del singolo;
  • la seconda, che attiene alla possibilità del singolo socio di deliberare in modo che, successivamente, si riveli non informato, in una materia per la quale la norma prevede un termine minimo che risulterebbe nei fatti violato.

Per ciò che attiene il versante del controllo notarile, invece, si ritiene sufficiente la dichiarazione del presidente che attesti la avvenuta rinuncia al termine da parte dei soci eventualmente non presenti in assemblea.

Per tutte le riflessioni sopra esposte, appare utile acquisire un fac simile di dichiarazione da rilasciare da parte del socio, indirizzato all’organo amministrativo, a scanso di ogni responsabilità. Tale dichiarazione è tratta dai materiali che abbiamo predisposto a supporto dei lavori della terza giornata di approfondimento del Master Breve, durante la quale abbiamo appunto approfondito l’operazione di fusione.