11 Febbraio 2014

Reverse charge e ravvedimento operoso

di Ennio VialVita Pozzi
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A partire dal 20 febbraio 2010 i rappresentanti fiscali italiani e le identificazioni dirette di soggetti esteri non sono più legittimati ad emettere fatture con Iva in relazione alle cessioni interne italiane a meno che il cliente, essendo un consumatore finale, non sia in grado di implementare l’inversione contabile. Questo principio vale per i servizi in deroga (ossia quelli che non rientrano nell’art. 7-ter D.P.R. 633/1972) e per le cessioni di beni.

A ben vedere, ai sensi dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 18 del 2010, la nuova normativa si applica alle operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2010 fermo restando che, come specificato nella circolare del 18 marzo 2010 n. 14/E, vengono fatti salvi i comportamenti di coloro i quali, in assenza di malafede, abbiano applicato in maniera non corretta le regole sull’inversione contabile alle operazioni poste in essere dal 1° gennaio 2010 al 19 febbraio 2010, continuando ad assolvere l’imposta con le modalità previste dalla previgente disciplina.

L’impossibilità di fatturare i servizi generici si è avuta sin dal 1° gennaio 2010.

La risoluzione n. 140 del 29 dicembre 2010 ha chiarito che se dal 20 febbraio il rappresentante continua a fatturare con iva, la violazione commessa è quella sanzionata dall’art.6, co. 9-bis, terzo periodo del D.Lgs. n. 471 del 1997, in una misura pari al 3% dell’imposta irregolarmente assolta, con un minimo di 258 euro, e comunque non oltre 10.000 euro per le irregolarità commesse nel triennio 2008 – 2010.

Ovviamente, il prestatore/cedente deve aver versato l’iva che il cessionario ha diritto di detrarre secondo le regole ordinarie.

La risoluzione in oggetto chiarisce che la violazione può essere sanata mediante ravvedimento operoso, con il pagamento da parte del cedente o del cessionario, nel termine di cui all’articolo 13, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 472 del 1997,della sanzione ridotta pari ad un ottavo del 3% dell’imposta sulle operazioni attive irregolarmente determinata in ciascuna liquidazione periodica (all’epoca il ravvedimento si perfezionava versando un decimo del 3%).

Considerato, inoltre, che ai sensi del quarto periodo dell’articolo 6, comma 9-bis, del D.Lgs. n. 471 del 1997, al pagamento delle sanzioni sono tenuti solidalmente entrambi i soggetti obbligati all’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile (circolare 18 febbraio 2008 n. 12, punto 10.2), il perfezionamento del ravvedimento ad opera di uno dei contraenti produrrà i suoi effetti nei confronti dell’altro.

In alternativa, il contribuente che non vuole pagare la sanzione, ancorchè ridotta a seguito di ravvedimento, può procedere con l’emissione della nota di accredito.

Il punto 5.1 della Circolare 11 febbraio 2007 n. 11/E chiarisce che in ipotesi di reverse charge con soggetti esteri, se il subappaltatore ha emesso erroneamente con IVA una fattura relativa ad una prestazione che avrebbe dovuto essere assoggettata ad imposta dal committente secondo il meccanismo del reverse-charge, è possibile correggere l’errore emettendo una nota di accredito entro il termine di un anno dall’effettuazione dell’operazione, ai sensi dell’art. 26, terzo comma, del D.P.R. n. 633/1972, che obbliga il committente alle conseguenti variazioni.

L’Agenzia precisa che il rispetto del termine previsto dal richiamato articolo 26, terzo comma, è necessario, in quanto l’indicazione di un ammontare di imposta differente rispetto a quello reale concretizza l’ipotesi di inesattezza della fatturazione prevista dalla norma in discorso.

La questione è ben presente anche nella risoluzione n. 140 del 2010, dove si evidenzia che non sarebbe stato necessario emettere le note di credito, ben potendo ravvedere la violazione.

Tuttavia, viene disconosciuta la possibilità dello storno delle note di variazione e delle conseguenti autofatture, non essendo la casistica riconducibile ad alcuna delle ipotesi indicate nell’articolo 26 del D.P.R. n. 633 del 1972.