5 Settembre 2016

Reverse charge: conseguenze dell’errata emissione di fattura con Iva

di Luca Caramaschi
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Con il D.Lgs. 158/2015 – entrato in vigore lo scorso 1° gennaio 2016 per effetto delle modifiche apportate dalla legge di Stabilità 2016, che ne hanno anticipato di un anno l’originaria decorrenza – sono state ridefinite le regole che disciplinano, oltre all’ambito penale, il sistema sanzionatorio per le violazioni di natura amministrativo tributaria. In tale contesto assumono particolare rilevanza le previsioni contenute nell’articolo 15 del citato provvedimento, che vanno ad interessare le violazioni commesse nell’applicazione del particolare regime dell’inversione contabile (o reverse charge).

Le disposizioni di riferimento sono contenute nell’articolo 6 del D.Lgs. 471/1997, ed in particolare nel comma 2 e nei commi 9-bis, 9-bis1, 9-bis2 e 9-bis3.  Tenendo presente che le nuove disposizioni trovano applicazione anche con riferimento alle violazioni commesse in passato per le quali non sono stati emessi provvedimenti da ritenersi “definitivi” (sulla questione relativa all’applicazione del principio del favor rei già si è espressa l’Agenzia delle entrate con la circolare n. 4/E/2016, al cui contenuto si rimanda), occorre pertanto procedere ad un esame comparato della vecchia e della nuova disciplina con riferimento a ciascuna singola fattispecie contemplata dalla richiamata norma.

Con il presente contributo procediamo, quindi, ad analizzare la violazione descritta nel nuovo comma 9-bis1 del citato articolo 6, relativa al caso del soggetto (cedente o prestatore a seconda che si tratti di beni o servizi) che, a fronte di una operazione soggetta inequivocabilmente al regime dell’inversione contabile (o reverse charge), emette erroneamente una fattura con applicazione dell’Iva. La medesima situazione può anche verificarsi a fronte, non tanto di un errore in buona fede, ma della “pianificazione” di un disegno criminale ordito dal soggetto cedente/prestatore in accordo con il cessionario/committente al fine di evadere l’imposta e quindi frodare il Fisco. Anche tale aspetto risulta disciplinato dal citato comma 9-bis1.

Vediamo, in primis, come tale fattispecie era disciplinata nel sistema sanzionatorio previgente, in vigore fino alla data del 31 dicembre 2015.

Prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 158/2015, il comma 9-bis dell’articolo 6 del D.Lgs. 471/1997 stabiliva che se, per errore, il cedente/prestatore avesse emesso una fattura con Iva in situazioni dove si sarebbe dovuto applicare il reverse charge, potevano verificarsi due situazioni:

  • nel caso di Iva non versata da parte del cedente, la sanzione andava dal 100 al 200 per cento dell’imposta, con un minimo di 258,00 euro;
  • nel caso di Iva versata, la sanzione era pari al 3 per cento dell’imposta irregolarmente assolta, con un minimo di 258,00 euro (soluzione, questa, che fu molto criticata soprattutto in quanto a fronte di nessun danno per l’erario, si determinava l’applicazione di una sanzione proporzionale, seppur di entità ridotta e riducibile secondo le norme del ravvedimento operoso come confermato dall’Agenzia delle entrate nella risoluzione n. 140/E/2010).

Restando fermo il diritto alla detrazione da parte del cessionario/committente, la norma prevedeva in entrambi i casi una responsabilità solidale tra i due soggetti (cedente/prestatore e cessionario/committente) tanto per l’imposta quanto per la sanzione (vedremo in seguito che nel nuovo scenario normativo recato dal comma 9-bis1 del citato articolo 6, la responsabilità solidale del cedente opera con riferimento alla sola sanzione).

Nel caso in cui il cessionario/committente avesse voluto sottrarsi alla solidarietà (mentre il cedente/prestatore aveva comunque la possibilità di rettificare il documento emesso al fine di riemetterlo correttamente), avrebbe potuto far scattare il meccanismo di regolarizzazione descritto dalla stessa Amministrazione finanziaria con la circolare n. 12/E/2008 al paragrafo 10.3 (e mutuato, seppur con alcune specificità, dal comma 8 del richiamato articolo 6 D.Lgs. 471/1997).

Vediamo ora cosa dice la nuova norma.

Il primo periodo della richiamata disposizione testualmente recita che “In deroga al comma 9-bis, primo periodo, qualora, in presenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cessionario o il committente anzidetto non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro”.

Questa prima parte della disposizione ci consente già di fare qualche breve riflessione.

In primo luogo viene prevista una sanzione in misura fissa (da 250 a 10.000 euro) che grava in capo al cessionario/committente ovvero a colui che ricevere la (errata) fattura con evidenza dell’Iva. Di tale sanzione il cedente/prestatore ne risponderà solo in via solidale, come espressamente previsto dal secondo periodo del più volte richiamato comma 9-bis1 che recita “Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cedente o prestatore”.

La predetta disciplina sanzionatoria, peraltro, dovrebbe prescindere dal comportamento tenuto dal cedente/prestatore con riferimento all’obbligo di versamento riguardante l’Iva a debito da lui “assolta” in fattura, posto che lo stesso, in caso di mancato versamento della stessa (o del suo corretto concorso alla liquidazione dell’imposta), resterà soggetto alla specifica disposizione sanzionatoria contemplata dall’articolo 13 del D.Lgs. 471/1997 e riguardante, appunto, i ritardati od omessi versamenti.

Dato per assodato che il concetto di “assoluzione” dell’imposta è sganciato dal versamento della medesima da parte del cedente/prestatore (sul punto una conferma ufficiale non guasterebbe), l’altro aspetto da evidenziare è che il cessionario/committente, qualora non abbia limitazioni di sorta (dovute, ad esempio, all’applicazione del pro rata), conserva il diritto di detrarre l’Iva sulla fattura erroneamente emessa e, inoltre, pur avvedendosi del fatto che c’è qualcosa che non va nella scelta operata dal cedente/prestatore, non è tenuto egli stesso ad assolvere l’imposta.

Il comma 9-bis1, infine, si chiude con un terzo periodo che richiama fenomeni di “connivenza” tra cedente/prestatore e cessionario/committente al fine di perpetrare una frode ai danni del fisco.

Sul tema la disposizione di legge richiede giustamente l’applicazione di sanzioni di tipo proporzionale, da imputarsi unicamente in capo al cessionario/committente, affermando che “Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano e il cessionario o il committente è punito con la sanzione di cui al comma 1 quando l’applicazione dell’imposta nel modo ordinario anziché mediante l’inversione contabile è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cessionario o committente era consapevole”.

Occorre in proposito evidenziare che la sanzione che va dal 90 al 180 per cento dell’imposta non correttamente evidenziata in fattura, è imputabile al cessionario/committente unicamente nel caso in cui sia provato che lo stesso “era consapevole” dell’intento di evasione o di frode che ha generato l’errore (su tale aspetto ci dovremo inevitabilmente attendere la solita “querelle” giurisprudenziale, sperando che non prevalga la tesi che il contribuente “non poteva non sapere”, senza che tale assunto sia assistito da prove concrete circa il suo coinvolgimento formulate dagli organi verificatori).

Su un aspetto la nuova norma tace: il cessionario/committente che si avvede dell’errore commesso dal cedente/prestatore, a fronte della inascoltata richiesta di correggere il documento avanzata a quest’ultimo (emettendo una nota di variazione con conseguente emissione di una fattura ad “aliquota zero” sulla quale eseguire i corretti adempimenti del reverse charge), può fare qualcosa per evitare l’applicazione della sanzione posta a suo carico dal comma 9-bis1?

Nel silenzio della norma, e nella considerazione che non dovrebbe essere impedito al cessionario/committente di voler regolarizzare una situazione da lui non creata (cioè l’emissione della fattura in Iva da parte del cedente/prestatore), si ritiene possa trovare applicazione la soluzione (opportunamente adattata alla fattispecie) esplicitamente richiamata nel precedente comma 9-bis per i casi di ricezione di fattura irregolare da parte del cessionario/committente nel contesto dei casi di omesso reverse charge. In tal caso, anche sulla scorta delle precisazioni fornite dall’Agenzia nel paragrafo 10.3 della circolare n. 12/E/2008 con riferimento alla disciplina previgente, il cessionario/committente dovrebbe procedere astenendosi dall’esercitare la detrazione sulla fattura errata (al fine di evitare duplicazioni), informare l’Ufficio delle entrate entro 30 giorni da quello di emissione della fattura e provvedere nello stesso termine alla regolarizzazione assolvendo l’imposta mediante inversione contabile.

Tale soluzione, peraltro, appare consigliabile se il cessionario/committente non ha già provveduto a pagare la fattura errata al proprio cedente/prestatore, posto che, in caso contrario, alla regolarizzazione seguirebbe il delicato problema di dover adire alle vie legali contro il cedente/prestatore per il recupero di una somma a lui indebitamente corrisposta. In quest’ultima ipotesi è forse conveniente valutare da parte del cessionario/committente il pagamento della sanzione in misura fissa (peraltro riducibile con il ravvedimento operoso), “acquisendo” il diritto a portare in detrazione l’Iva evidenziata nella fattura ricevuta dal cedente/prestatore.

Laddove, infine, il cessionario/committente decida di non eseguire la predetta regolarizzazione, o la esegua una volta spirato il termine dei 30 giorni in precedenza indicato, si ritiene che in relazione al pagamento della sanzione minima di 250 euro lo stesso possa beneficiare della riduzione da un nono a un quinto, a seconda del momento nel quale interviene il ravvedimento operoso. Resta il problema della corretta compilazione del modello di dichiarazione Iva annuale da parte sia del cedente/prestatore che del cessionario/committente; in ogni caso si ritiene che il ravvedimento sul versamento della sanzione possa comunque mantenere la sua validità.

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