23 Gennaio 2015

Regime fiscale delle società agricole

di Luigi Scappini
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È indiscutibile che le principali forme utilizzate per l’esercizio dell’attività agricola siano quella individuale e, per quanto attiene le società, quella semplice.

Indubbia sul punto è l’influenza dalla struttura proprietaria italiana, che è passata da un latifondismo spinto a una parcellizzazione accentuata della proprietà terriera. Tuttavia, da sempre, il regime fiscale previsto, rappresenta il volano o comunque uno dei driver di crescita dei settori.

Del resto il Legislatore era andato a creare un contesto sfavorevole alle forme societarie o, per meglio dire, sicuramente non di agevolazione rispetto a quelle individuali.

Infatti, agli inizi degli anni ’90, a mezzo di una modifica in seno all’allora art. 51 D.P.R. n. 917/1986, il reddito prodotto dalle società di capitali esercenti attività agricola era stato attratto nell’alveo di quello “naturale” di impresa, a cui è seguita, con la Legge n. 662/1996, la ricomprensione anche di quello prodotto dalle società in nome collettivo ed in accomandita semplice.

Tale impostazione di fatto era altamente discriminatoria e soprattutto disincentivante nei confronti delle forme societarie più evolute. Il Legislatore, probabilmente conscio di questo, nel contesto di una modernizzazione del settore, con il D. Lgs. n. 99/2004 ha introdotto la società agricola, individuandola in quella che rispetti i seguenti requisiti:

  • oggetto sociale con indicazione dell’esercizio esclusivo delle attività agricole previste dall’art. 2135 Cod. Civ. e
  • ragione o denominazione sociale contenente espressamente la dizione di “società agricola”.

A tale forme societarie era dato accesso a particolari agevolazioni fiscali, ma è solo con la Legge n. 296/2006 (la Finanziaria per il 2007) che l’articolo 1, comma 1093, ammette che  “Le società di persone, le società a responsabilità limitata e le società cooperative, che rivestono la qualifica di società agricola ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n.99 … possono optare per l’imposizione dei redditi ai sensi dell’articolo 32 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.917, e successive modificazioni”.

Si precisa sin da subito come il reddito prodotto in vigenza di opzione, pur se determinato su base catastale, resta sempre un reddito di impresa.

Tuttavia, nel contesto positivo di tale previsione che, ricordiamo, è stata oggetto nel recente passato di abrogazione e successiva reintroduzione grazie alla Legge di stabilità 2014, non si può non evidenziare la nota stonata data dall’esclusione dal regime opzionale delle S.p.A. e delle S.a.p.A..

Tralasciando di affrontare possibili profili incostituzionali della norma, la scelta del Legislatore non è del tutto comprensibile, infatti, ben più coerente sarebbe stata l’opzione per una evidenziazione della dicotomia tra reddito di impresa e catastale tramite la ricomprensione, nel primo, del reddito prodotto da parte di tutte le società di capitali, tornando in tal modo alla situazione ante Legge n. 662/1996.

A questo bisogna aggiungere l’ulteriore posizione assunta dall’Agenzia delle entrate che, con la R.M. n. 177/E del 29.04.2008 ha dichiarato elusiva la trasformazione di una S.p.A. in S.r.l. con il solo scopo di poter accedere alla tassazione su base catastale.

Sul punto però, non si può non rilevare come in passato, in occasione delle modifiche di cui alla Legge n. 662/1996, l’Agenzia delle entrate, espressamente sollecitata sul tema (trasformazione in quel caso da s.n.c. a società semplice, con il mero fine dichiarato di dichiarare un reddito agrario) non avesse ravvisato possibili profili elusivi, ma si fosse limitata a ricordare come il passaggio da un soggetto esercente attività di impresa a uno che non svolge tale attività comporta il realizzo delle plusvalenze latenti.

Tornando alla disciplina propria delle società agricole, come detto, esse, per espressa previsione di legge, devono svolgere esclusivamente attività agricole di cui all’articolo 2135 Cod. Civ. e l’Agenzia delle entrate, con la Circolare n. 50/E del 01.10.2010 ha precisato come il possesso di partecipazioni sociali comporta il venir meno dell’esclusività a meno che le stesse non siano riconducibili a società anch’esse agricole e i dividendi che la società riceve da dette partecipazioni siano percentualmente inferiori al reddito derivante dall’esercizio dell’attività agricola.

Sempre la Circolare richiamata ha aggiunto che eventuali attività strumentali a quelle agricole non comportano il venir meno del requisito della esclusività. Ci stiamo riferendo a quelle attività compatibili con l’oggetto sociale, quali possono essere ad esempio la presa in affitto di fondi rustici e terreni per ampliare l’attività o l’accensione di un finanziamento per l’acquisto di un trattore.

La circostanza dell’esclusività comporta che al venir meno, ad esempio, del requisito della prevalenza, nell’ipotesi di esercizio di un’attività connessa, consegue la determinazione di tutto il reddito secondo le regole del reddito di impresa.

Da ultimo si evidenzia come le società agricole esercenti attività di allevamento di animali, nel caso di mancato rispetto dei parametri richiesti dall’articolo 32, come esplicitati con il D.M. 18.12.2014, devono determinare il reddito secondo le regole ordinarie e non quelle agevolate di cui all’articolo 56, comma 5 Tuir, in quanto la Finanziaria non richiama tale possibilità, mentre i regimi forfettari di cui al successivo articolo 56-bis sono espressamente vietati ai sensi del comma 4 del medesimo articolo.