18 Marzo 2015

Qualificazione degli enti non commerciali

di Guido Martinelli
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Approfonditi gli aspetti dell’acquisto di qualità di associato, la rubrica dedicata al terzo settore prosegue la trattazione degli enti non commerciali analizzando l’“oggetto” dell’ente, ossia l’attività esercitata, al fine di individuare i criteri in base ai quali si possa definire “non commerciale”, e che prescinde dalla qualifica soggettiva assunta.


 

La soggettività tributaria, ai fini della imposizione sul reddito, delle associazioni e, in generale, degli enti di cui al primo libro del codice civile, prescinde dalla natura lucrativa o meno dell’ente e si caratterizza sulla base della attività esercitata.

La disciplina è dettata dall’art. 73 lett.c) del D.P.R.22 dicembre 1986 n.917, Testo Unico delle Imposte sui Redditi (cd. Tuir). 

Si tratta di enti pubblici o privati diversi dalle società residenti nel territorio dello Stato (associazioni, comitati, fondazioni, consorzi, circoli, club, accademie, congregazioni, ecc.), che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali. Nessun rilievo assume ai fini della qualificazione di ente non commerciale la natura, pubblica o privata, del soggetto, l’assenza del fine di lucro o la destinazione dei risultati, la rilevanza sociale delle finalità perseguite.

Ciò che importa, indipendentemente dalla qualificazione soggettiva dell’ente, è l’oggetto dell’attività svolta in via principale. Se questo è di natura commerciale il trattamento fiscale dell’ente è necessariamente equiparato a quello delle società, se è di tipo non commerciale le disposizioni applicabili saranno quelle in esame.

Con questo non significa che un’associazione non possa svolgere alcuna attività di natura economica ma l’attività di tal tipo esercitata, caratterizzata dalla vendita di beni o servizi, non deve avere carattere esclusivo e prevalente rispetto a quella istituzionale, ossia deve essere strumento per il reperimento dei fondi necessari per il raggiungimento degli scopi sociali di natura ideale.

È necessario pertanto verificare quando un’attività si ritiene “non commerciale” e quando possa ritenersi svolta in “via principale“.

L’oggetto esclusivo o principale dell’ente serve per l’appunto a distinguere gli enti non commerciali dagli enti commerciali.

Per individuare l’oggetto esclusivo o principale, il comma 4 dell’art.73 del Tuir impone di fare riferimento, in primo luogo, a quanto indicato nella legge istitutiva, nello statuto e nell’atto costitutivo dell’ente redatti nella forma dell’atto pubblico, o della scrittura privata autenticata o registrata.

Da tali atti si deve ricavare l’attività “essenziale per raggiungere direttamente gli scopi primari dalla legge, dall’atto costitutivo o dalle statuto”. Se, ad esempio, lo scopo statutario è quello di diffondere la passione per la musica, l’attività essenziale dell’ente sarà necessariamente di tipo culturale – ricreativo e sicuramente non commerciale. Se, invece, lo statuto prevede quale scopo primario uno di natura commerciale (es. gestione di un ristorante), nonostante la qualificazione soggettiva (es. l’ente si definisce associazione), il trattamento fiscale sarà proprio quello degli enti commerciali.

Il comma successivo della medesima norma recita che “in mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l’oggetto principale è determinato in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applica in ogni caso agli enti non residenti”.

Per la determinazione dell’oggetto dell’ente quindi si adottano due criteri: uno di forma e l’altro, sussidiario, di effettività. Secondo il criterio formale, la natura non commerciale dell’oggetto può risultare o direttamente dalla legge, dall’atto costitutivo o statuto se redatti nelle forme di un atto avente data certa, in mancanza (quindi in via sussidiaria), la determinazione dell’oggetto principale deve essere effettuata sulla base dell’attività effettivamente svolta.

Accanto a questa distinzione il Testo Unico ne prevede un’altra basata sulla prevalenza quantitativa dell’attività commerciale posta in essere per un intero periodo di imposta.

A prescindere dalle dichiarazioni inserite formalmente nell’atto costitutivo, o nello statuto o dalle disposizioni di legge, però, l’ente infatti può perdere la qualifica di “ente non commerciale” in presenza di tutta una serie di indizi ricavabili dai parametri di cui all’art. 149 del Tuir. È stata in pratica introdotta un’ipotesi di presunzione legale di perdita della qualifica di ente non commerciale.

In termini quantitativi, quindi la prevalenza di attività commerciale si misura anche in presenza dei seguenti parametri: a) prevalenza delle immobilizzazioni relative all’attività commerciale, al netto degli ammortamenti, rispetto alle restanti attività; b) prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali; c) prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative; d) prevalenza delle componenti negative inerenti all’attività commerciale, rispetto alle restanti spese.

Il Ministero delle Finanze ha precisato, con la Circ. 12 maggio 1998, n.124/E che il verificarsi di una o più delle condizioni previste non comporta l’immediato mutamento di qualifica. I parametri, infatti, debbono essere considerati come elementi di un giudizio complessivo al fine di verificare che senza alcun dubbio l’ente abbia esercitato per la maggior parte del periodo d’imposta in prevalenza attività commerciale.

È bene ricordare che la perdita della qualifica opera a partire dal periodo d’imposta in cui si è verificata. Pertanto gli enti non commerciali sono costretti ad operare una valutazione preventiva del volume di attività commerciale svolta e procurarsi tutti i libri contabili necessari nel caso in cui questa dovesse diventare prevalente in corso d’anno.

Le disposizioni sulla perdita della qualifica di ente non commerciale non si applicano agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili e alle associazioni sportive dilettantistiche.