13 Maggio 2015

Pubblicità dichiarativa dell’imprenditore agricolo – parte II

di Luigi Scappini
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In un precedente intervento ci siamo occupati di indagare gli effetti che la previsione di cui all’art.2 del D.Lgs. n.228/01 esplica nei confronti del cosiddetto statuto speciale previsto per l’imprenditore agricolo, verificando l’abrogazione o meno dell’art.2136 codice civile.

Ma, a ben vedere, l’evoluzione della rilevanza dell’iscrizione alla sezione speciale del registro delle imprese da mera pubblicità notizia a quella più “evoluta” di pubblicità dichiarativa, rappresenta un ulteriore segnale di un sempre maggior avvicinamento della figura dell’imprenditore agricolo a quello commerciale, con conseguente obbligo di verificare se la riforma del 2001 abbia di fatto comportato il venir meno di altre prerogative del mondo agricolo quali l’infallibilità o la facoltatività dell’obbligo di tenuta della scritture contabili.

Un’analisi superficiale potrebbe portare a un’affrettata risposta positiva in quanto è indubbio che ormai si sia in presenza di un imprenditore agricolo moderno che si presenta sul mercato e soprattutto rileva sullo stesso in maniera differente rispetto al passato.

Ecco che allora, la critica che si può avanzare nei confronti della riforma sta proprio in questo: nell’aver previsto un’unica figura imprenditoria quando, al contrario, l’esigenza probabilmente era quella di introdurre un imprenditore agricolo sviluppato in ragione del criterio agroalimentare che guida la normativa comunitaria, mantenendo, di contra, una specificità per la figura classica dell’imprenditore agricolo legato al terreno e in quanto tale meritevole di maggiori tutele.

Infatti, l’attuale figura dell’imprenditore agricolo risulta evoluta attraverso il passaggio da un soggetto statico che di fatto si “limitava” alla coltivazione della terra al fine di raccoglierne i frutti, a uno dinamico teso a un miglioramento quali-quantitativo del prodotto attraverso lo svolgimento di un ciclo biologico o parte di esso.

Lo sganciamento dal fondo, attraverso l’attuale potenzialità e non più obbligatorietà del suo utilizzo, da un lato ha aperto nuovi orizzonti e dall’altro ha comunque tutelato il comparto da evoluzioni accentuate e imprevedibili in quanto comunque l’attività, per considerarsi agricola, deve potenzialmente essere svolta sul fondo.

Tuttavia, è indubbio che sussistano ancora figure per le quali si rende necessaria la previsione, in ragione delle loro caratteristiche storiche, di un sistema a tutela dello stesso, sia in termini garantistici che di snellimento degli adempimenti burocratici ma non solo (basti pensare al regime di esonero previsto dall’art.34, comma 6 D.P.R. n. 633/72 in materia di Iva per i soggetti con un volume d’affari annuo non superiore a 7mila euro).

Ma in questo modo il Legislatore ha esteso queste prerogative anche a forme imprenditoriali che non ne avevano bisogno.

A questo punto è evidente che le prerogative dello statuto speciale non sono state travolte dalla riforma del 2001 ma sono tutt’ora vigenti e vediamone i motivi, atteso che ormai è inconfutabile che l’imprenditore agricolo molto spesso assomiglia a un imprenditore commerciale operante nel comparto agricolo (vedasi ad esempio lo stesso articolo 4 del D.Lgs. n. 228/2001 in tema di punti vendita).

Per quanto attiene la tenuta delle scritture contabili, la risposta dovrebbe essere per la loro obbligatorietà atteso che, ad esempio, esse sono richieste per poter accedere a diverse forme di incentivazione sia nazionali che comunitarie, nonché dall’assimilazione dell’imprenditore agricolo a quello commerciale compiuta dall’art.2 del D.Lgs. n. 228/2001.

Tuttavia, non si può prescindere dal dato normativo rappresentato dall’art. 2214 codice civile che depone per l’esenzione dall’obbligo, individuando, infatti, come obbligati gli imprenditori in ragione della natura commerciale dell’attività dagli stessi esercitata.

Ecco che allora la tenuta sarà facoltativa e non obbligatoria e nel caso in cui si opti per la loro tenuta si dovranno seguire le regole di cui agli artt. 2215, 2216 e 2218 codice civile.

Ancor meno disquisibile è l’inapplicabilità della legge fallimentare in capo agli imprenditori agricoli, in ragione, anche in questo caso, del dato normativo.

Infatti, come evidenziato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.24995 del 10 dicembre 2010, che sintetizza perfettamente quanto affermato fino ad adesso “Non sembra infine dubbio che tale maggiore ampiezza, proprio in quanto riconducibile a criteri diversi da quelli rispetto ai quali era stata riconosciuta la specialità dell’impresa agricola, può legittimare riserve (peraltro specificatamente sollevate da parte della dottrina) in ordine all’affermata assoggettabilità al fallimento del solo imprenditore commerciale (L. Fall., art.1). Tuttavia i recenti interventi del legislatore aventi ad oggetto la disciplina delle procedure concorsuali (L, n. 80 del 2005, L. n. 5 del 2006, L. n. 169 del 2007) non hanno operato sul punto alcuna modifica, sicché nella specie un giudizio in ordine all’esistenza o meno dei presupposti indicati dall’art.2135 c.c. rileva ai fini della decisione sulla fallibilità dell’imprenditore agricolo”.

Come a dire “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit” e quindi si renderà applicabile la L. n. 3/2012 in tema di crisi da sovarindebitamento, la cui disciplina è stata oggetto di chiarimenti da parte dell’Agenzie delle Entrate con la circolare n.19/E dello scorso 6 maggio.