30 Gennaio 2015

Prova della fittizietà dei ricavi sovrafatturati a carico della ASD

di Guido MartinelliMattia Cornazzani
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Le recentissime pronunce “gemelle” della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, nn. 27039 e 27040 del 19.12.2014, suggeriscono interessanti spunti per una riflessione a proposito della tassabilità dei ricavi derivanti da fatture emesse per operazioni inesistenti.

L’Associazione sportiva coinvolta riceveva la notifica di due avvisi di accertamento, rispettivamente afferenti ai periodi di imposta 1998, 1999 e 2000 – con cui le venivano contestate l’irregolare tenuta delle scritture contabili e l’indebita fruizione dei benefici di cui alla L. n. 398/1991 – entrambi fondati sull’emissione di fatture sovradimensionate e parzialmente fittizie nei confronti di altre società e sull’omessa dichiarazione di proventi commerciali riconducibili a prestazioni pubblicitarie, ai fini delle imposte dirette ed Irap, e sull’omessa presentazione della dichiarazione annuale e correlato versamento d’imposta,  ai fini Iva.

Il principale motivo di ricorso dell’ente accertato, soccombente in entrambi i gradi di merito, concerneva la sottoposizione ad imposizione, ai fini delle imposte dirette, dei ricavi apparentemente conseguiti a seguito di emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Per una più rapida comprensione del caso in esame, occorre rilevare altresì che, tra le motivazioni addotte dall’Ufficio a sostegno della pretesa fiscale erano riportate alcune dichiarazioni, di rilevanza confessoria, rilasciate dal legale rappresentante dell’ASD, dalle quali si evinceva che i proventi della sovrafatturazione erano stati restituiti in contanti e che, conseguentemente, non avevano dato luogo ad effettivi ricavi.

I giudici ermellini, in accoglimento delle doglianze della ricorrente, cassano con rinvio le sentenze impugnate le quali omettono di pronunciarsi “con riguardo alla specifica doglianza (svolta dalla contribuente in via subordinata) della incompatibilità logica esistente tra l’affermazione – fondata sulle dichiarazioni confessorie del C. – della natura fittizia delle operazioni (sub specie di “sovrafatturazione”) e la loro idoneità a produrre redditi effettivi (in quanto tali assoggettabili a tassazione ai fini delle imposte dirette), nonostante da quelle stesse dichiarazioni confessorie fosse emerso (anche) che i proventi oggetto di sovrafatturazione erano stati restituiti alle società utilizzatrici”.

Ad avviso della Cassazione, la Corte territoriale ha errato nel motivare la propria decisione attraverso un’ellittica e superficiale interpretazione della fattispecie penale rilevante – art. 1, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 74/2000 – poiché, nel caso in esame, occorreva invece verificare – partendo dal valore attribuito alle dichiarazioni confessorie sulla cui base è stata ritenuta provata l’emissione di fatture sovradimensionate – se (e in quale misura) gli importi sovrafatturati siano stati restituiti alle società utilizzatrici delle fatture, in caso positivo dovendo escludersi (…) il loro assoggettamento alle imposte dirette, in quanto proventi in realtà non conseguiti dall’emittente”.

In primo luogo non si può certo omettere di rilevare che la soluzione proposta dalla Corte di Cassazione è tanto condivisibile quanto obbligata; del resto, una pronuncia esaustiva nella sua motivazione non può non pronunciarsi sull’eccepita incongruenza tra affermazione della natura fittizia delle operazioni e la loro asserita idoneità a produrre redditi effettivi.

In secondo luogo e conclusivamente, si ritiene opportuno sottolineare che – benchè l’art. 8, comma 1, D.L. n. 16/2012, come convertito dalla L. n. 44/2012, con l’intento di dare attuazione al principio costituzionale della capacità contributiva, ha stabilito che, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, i componenti positivi di reddito direttamente afferenti ai costi per operazioni oggettivamente inesistenti (…) non sono considerati imponibili (…)”il prevalente orientamento della Corte di Cassazione subordina la non imponibilità alla prova della fittizietà dei ricavi.

È allora evidente che, nel caso di specie, solo a seguito dell’accertamento sull’effettiva restituzione delle somme sovrafatturate, in aggiunta alle dichiarazioni confessorie, si potrebbe ritenere adempiuto l’onus probandi e, di conseguenza, illegittima la ripresa a tassazione dei ricavi sovrafatturati. 

Quanto appena detto trova conferma nella Sentenza Cass. Civ. Sez. Trib. n. 16456 del 23.07.2014, secondo cui “grava sul contribuente l’onere di provare la fittizietà di componenti positivi che, ove direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica”.

Le implicazioni pratiche sono di immediato rilievo: accertata la fittizietà di eventuali acquisti, non v’è obbligo per l’Amministrazione finanziaria di riconoscere altresì la fittizietà delle correlate vendite (e quindi di escluderne i ricavi onde pervenire ad una corretta determinazione del reddito), attesa la persistenza dell’onere probatorio in capo al contribuente.