6 Maggio 2017

Profili Iva della sharing economy

di Marco Peirolo
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Ai fini Iva, le operazioni poste in essere nell’ambito della sharing economy devono essere esaminate ad un duplice livello, essendo necessario stabilire il regime impositivo applicabile:

  • da un lato, ai beni ceduti e servizi scambiati attraverso la piattaforma digitale, definendo, a tal fine, se l’utente che fornisce i beni e servizi debba essere qualificato come un soggetto passivo Iva;
  • dall’altro, al servizio reso dalla piattaforma digitale agli utenti.

Con specifico riguardo al rapporto tra la piattaforma e l’utente, il Comitato Iva, nel Working Paper n. 878 del 22 settembre 2015, ha osservato che il regime Iva del servizio reso dalle piattaforme di economia condivisa è remunerato da una commissione che assume natura di intermediazione. In linea con questa qualifica, la risoluzione AdE 199/E/2008 ha precisato che “ai fini dell’effettuazione della prestazione di servizi l’uso di internet, quale mezzo di comunicazione, è equiparabile all’uso di un telefono o di un fax e non fa mutare la natura giuridica dell’operazione che va qualificata come intermediazione e non come commercio elettronico”.

Più nello specifico, al predetto servizio di intermediazione si applica il regime di esenzione di cui all’articolo 135, par. 1, della Direttiva 2006/112/CE, corrispondente all’articolo 10, comma 1, n. 9), del D.P.R. 633/1972, se la piattaforma gestisce l’incasso e il pagamento delle somme di denaro tra il cliente e il fornitore (Working Paper n. 878 del 22 settembre 2015).

Riguardo, invece, al profilo dell’economicità dell’attività svolta dall’utente che fornisce beni e servizi avvalendosi della piattaforma di economia condivisa, l’articolo 9, par. 1, comma 2, della Direttiva 2006/112/CE chiarisce che “ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle di professione libera o assimilate” e che “si considera, in particolare, attività economica lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità”. In questo contesto, lo “sfruttamento” si riferisce, in conformità al principio che il sistema comune dell’Iva deve essere neutrale, a tutte quelle operazioni, qualunque sia la loro forma legale, dirette ad ottenere un reddito su base continuativa (causa C-8/03, BBL; causa C-77/01, EDM; causa C-306/94, Régie dauphinoise; causa C-186/89, Van Tiem).

Secondo il consolidato orientamento della Corte di giustizia, la nozione di “attività economica” è molto ampia e ha carattere oggettivo nel senso che l’attività è considerata, di per sé, a prescindere dai suoi scopi o risultati (causa C-263/11, Ainārs Rēdlihs; causa C-219/12, Finanzamt Freistadt Rohrbach Urfahr; cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen e a.; causa C-230/94, Enkler; causa C-235/85, Commissione/Paesi Bassi).

Per quanto riguarda i beni e servizi forniti da privati attraverso le piattaforme di economia condivisa, il Comitato Iva, nel Working Paper n. 878 del 22 settembre 2015, ha ritenuto che l’appartamento da affittare o l’automezzo utilizzato per offrire un passaggio sono beni che, per loro natura, possono essere destinati a scopi sia economici che privati. Ferma restando la molteplicità di forme che le forniture di beni e servizi per mezzo delle piattaforme digitali possono assumere, il Comitato Iva è dell’avviso che il rapporto che unisce il fornitore alla piattaforma di economia condivisa, attraverso la quale vengono forniti beni e servizi in cambio di un corrispettivo, implica una certa continuità, per cui le attività in questione soddisfano i requisiti richiesti dall’articolo 9, par. 1, della Direttiva per essere qualificate come “attività economiche”.

Al profilo esaminato si ricollega quello dell’occasionalità dell’attività, in merito al quale la Corte di giustizia ha affermato che, anche se i beni e servizi sono forniti a titolo occasionale, non può di per sé escludersi che tali operazioni siano estranee dal campo di applicazione dell’Iva, così come, del resto, le operazioni rientranti nel campo di applicazione dell’imposta non sono automaticamente attratte a tassazione (causa C-62/12, Kostov e cause riunite C-180/10 e C-181/10, Słaby e a.). Dalla sentenza Słaby e a., confermata dalla sentenza Ainārs Rēdlihs, si ricava il principio secondo cui il mero esercizio del diritto di proprietà da parte del suo titolare, anche sotto forma di gestione del bene, non costituisce attività economica. Tuttavia, quando la persona in questione intraprende “iniziative attive di commercializzazione”, utilizzando risorse simili a quelle impiegate da un operatore economico, deve essere considerata come un soggetto passivo ai sensi dell’articolo 9, par. 1, comma 2, della Direttiva.

In questo contesto, conclude il Comitato Iva, può sostenersi che l’individuo che utilizza la piattaforma di economia condivisa al fine di offrire i propri beni e servizi agisce in modo molto simile ad un operatore economico, sicché la sua attività assume rilevanza ai fini impositivi indipendentemente dalla circostanza che sia svolta con carattere occasionale o abituale e questo anche per evitare fenomeni di distorsione della concorrenza che, danneggiando gli operatori “tradizionali”, violerebbero il principio della parità di trattamento e, quindi, quello della neutralità dell’Iva.

Occorre ricordare, sul punto, che il direttore dell’Agenzia delle Entrate, nel corso dell’Audizione del 26 luglio 2016 presso la Camera dei Deputati, ha fornito alcuni spunti di riflessione sulla proposta di legge AC 3564, presentata il 27 gennaio 2016, finalizzata a disciplinare le piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e a promuovere l’economia della condivisione.

È stato, in particolare, osservato che le operazioni poste in essere con l’ausilio delle piattaforme della sharing economy possono configurare un’attività economica nella misura in cui sono svolte con carattere di stabilità e organizzate in forma d’impresa, ai sensi dell’articolo 4 del D.P.R. 633/1972, per cui una persona che effettua solo occasionalmente un’operazione generalmente svolta da un produttore, da un commerciante o da un prestatore di servizi non può, in linea di principio, essere considerata un soggetto passivo Iva. Il nodo da sciogliere resta quello del limite della occasionalità, essendo evidente che, nel contesto dell’economia collaborativa, la distinzione tra prestazione a titolo professionale e prestazione a titolo occasionale non sia facilmente individuabile, specie se la regolamentazione varia da settore a settore e anche da regione a regione, come ad esempio nel settore alberghiero.

Del resto, la stessa Direttiva 2006/112/CE ha previsto un campo di applicazione molto ampio dell’Iva e stabilito delle soglie di fatturato al solo fine di consentire l’applicazione di regimi facoltativi di franchigia per le piccole imprese, che non hanno effetto ai fini della distinzione fra servizio professionale e non professionale, oppure dell’esclusione dal campo di applicazione dell’Iva. Va da sé, pertanto, che la soglia di 10.000 euro prevista dalla proposta di legge non è di per sé rilevante ai fini della qualificazione degli utenti quali soggetti passivi Iva, né, probabilmente, compatibile con l’introduzione di una (più contenuta) soglia a livello unionale, valida in tutti gli Stati membri, cui i servizi della Commissione stanno pensando.

 

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