13 Dicembre 2014

Probatio diabolica: nuove contestazioni delle sponsorizzazioni?

di Guido MartinelliMattia Cornazzani
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Il caso concerne il ricorso di una società avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale la quale, conformemente a quanto deciso in primo grado, riteneva che la fattura legata alla sponsorizzazione elargita dalla ricorrente in favore di un’ASD nel periodo d’imposta 1993 fosse, invero, relativa ad un’operazione oggettivamente inesistente.

L’intervento della Cass. Civ. Sez. VI, ordinanza n. 24478 del 18.11.2014 offre agli addetti ai lavori un ulteriore precedente da cui ricavare preziose indicazioni operative.

La prima è indubbiamente costituita dal principale motivo di rigetto del ricorso della società contribuente: ad avviso della Suprema Corte “la CTR osservava esattamente che si trattava di parecchi elementi forniti dall’appellata agenzia, a fronte dei quali era onere dell’appellante fornire la prova della effettività dell’operazione contestata”.

Inammissibile, dunque, il motivo con cui il ricorrente sosteneva che gli elementi raccolti, aventi natura presuntiva, non fossero idonei a prevalere sulla correttezza dell’annotazione contabile. Secondo i giudici ermellini, quando l’Amministrazione contesta l’inesistenza dell’operazione, il contribuente deve dimostrare che il rapporto negoziale tra sponsor e sponsee abbia avuto effettiva esecuzione, non potendo limitarsi ad eccepire la sola correttezza del dato contabile.

La seconda è ricavabile dall’ulteriore censura di cui è oggetto il medesimo motivo di ricorso. In proposito, la Corte sottolinea con fermezza che il tentativo con cui il ricorrente intendeva, attraverso l’art. 360 comma 1, n. 5), c.p.c., “proporre una differente valutazione del materiale probatorio rispetto al vaglio effettuatone dai giudici di merito”, non possa ritenersi meritevole di accoglimento.

Sul punto, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità può ritenersi ormai consolidato; i giudici ermellini hanno chiarito, ancora una volta che “è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte (…) infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione, come nella specie” (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 7394 del 26.03.2010, n. 6064 del 06.03.2008).

A parere di chi scrive, l’austera presa di posizione della Cassazione, non può che essere condivisa, in quanto ciò che – di fatto – finirebbe per risolversi in un “terzo esame del merito” non appartiene al giudizio di legittimità, caratterizzato da natura e scopo differenti. Del resto, un preteso migliore e più appagante coordinamento nella valutazione degli elementi di prova e nell’apprezzamento dei fatti, attiene inequivocabilmente al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento. In terzo luogo, si intende approfondire le ragioni per cui la Corte ammette – con criterio discutibile – l’accertamento induttivo dei redditi d’impresa, ex art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 600/1973, sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili. Sul punto si rileva che se l’Ufficio, all’esito dell’attività accertativa, è in grado di evidenziare gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e, conseguentemente, di dimostrare la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, allora l’atto di rettifica è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, i quali altro non devono dimostrare che le risultanze del  procedimento deduttivo fondato sui dati raccolti. Per vincere tale presunzione, il contribuente non può limitarsi ad invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili perché, addirittura, “proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo”. Al di là dei toni, eccessivi e forse paradossali, con cui si sostiene che proprio la regolarità delle annotazioni contabili della sponsorizzazione possa costituirne il presupposto primo per accertare l’eventuale inattendibilità, un dato merita di essere posto in rilievo. In tema di asserite “sponsorizzazioni gonfiate”, l’Ufficio ha scelto la strada della fatturazione per operazioni inesistenti che, al di fuori di ogni considerazione di merito afferente al caso di specie, pare una ricostruzione decisamente più coerente rispetto alla caotica dicotomia antieconomicità-non inerenza dei costi. Del resto, da questo breve commento sono emerse pesanti implicazioni difensive a carico del contribuente, relative, in particolare, all’onus probandi. Si è in presenza di un caso isolato o all’inizio di un cambio di rotta?