15 Dicembre 2015

Plusvalenze immobiliari escluse se il fabbricato è abitazione principale

di Fabio Garrini
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Nel caso di cessione di un fabbricato detenuto al di fuori del regime d’impresa o lavoro autonomo, la plusvalenza è in ogni caso esclusa qualora il fabbricato sia destinato ad abitazione principale del contribuente, comprese le relative pertinenze.

 

L’esonero per l’abitazione principale

Sono da considerarsi imponibili quali redditi diversi di natura immobiliare le plusvalenze conseguite per l’alienazione di fabbricati posseduti da meno di cinque anni, a patto che questi:

  • Non siano stati acquisiti a seguito di donazione;
  • Non siano stati destinati ad abitazione principale del contribuente per la maggior parte del periodo di possesso (quindi, ad esempio, per due anni sui tre di possesso).

Sul punto consta una puntuale osservazione del notariato nello studio 21/2012: l’utilizzo come abitazione principale, a norma dell’articolo 67, primo comma lett b), Tuir, non deve riferirsi “all’ultimo periodo” ma alla “maggior parte” del periodo di possesso. Questo significa che al momento della cessione detto immobile potrebbe anche non essere abitazione principale, perché per tale conteggio occorre riferirsi all’integrale periodo di osservazione, ossia quello di materiale possesso del bene.

Viene però da chiedersi cosa si debba intendere esattamente per abitazione principale; tutti ricorderanno il concetto stabilito ai fini Imu e Tasi, dove è richiesta la contemporanea presenza di residenza anagrafica e di dimora abituale del contribuente, per conseguire il diritto a beneficiare dei relativi esoneri / agevolazioni.

Per quanto in questa sede interessa occorre un diverso approccio: il riferimento per individuare l’abitazione principale è quello contenuto nell’articolo 43 del codice civile, ove si afferma la necessità di far riferimento alla sola dimora abituale del contribuente.

Evidentemente, in tal caso, il contribuente dovrà essere in grado di dimostrare dove tale dimora abituale sia allocata, qualora non coincidesse con la residenza anagrafica; dimostrazione che, da indicazione dell’Agenzia delle entrate (Risoluzione 218/E/2008), potrà essere resa facendo riferimento a circostanze oggettive quali utenze domestiche, indicazione di domicilio nella corrispondenza, ecc.

In tale documento, con riferimento alle bollette, viene ricordato che un parametro da valutare è “l’utilizzo effettivo dei servizi connessi”; questo significa che se i consumi sono ridotti al minimo, sarà arduo affermare che tale immobile possa legittimamente essere considerato abitazione principale del contribuente.

Va inoltre rammentato che la verifica va condotta non solo con riferimento al contribuente, ma anche ai familiari. Per quanto riguarda l’individuazione dei familiari occorre far riferimento all’articolo 5, ultimo comma, Tuir, ove si afferma che ai fini delle imposte dirette, si intendono come tali, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado.

 

Contribuente residente all’estero

L’Agenzia si è espressa anche in un caso specifico. Nella Risoluzione 136/E/2008 viene esaminato il caso di un contribuente residente all’estero, negando che esso possa beneficiare dell’esonero in commento.

La precisazione si è resa necessaria in quanto vi sono agevolazioni a favore degli italiani residenti all’estero e, in quanto tali, iscritti all’AIRE; nella citata risoluzione si fa riferimento all’applicazione del beneficio “prima casa” ai fini del registro e considera il caso di un contribuente che avanza l’ipotesi di poter considerare detti immobili quali abitazioni principali anche alla fine dell’esonero impositivo ai fini dei redditi diversi.

Il parere dell’Agenzia delle entrate è del tutto contrario alla proposta del contribuente. Nella Risoluzione infatti si legge: “La circostanza che questi risiedano all’estero esclude infatti che l’immobile posseduto in Italia possa essere considerato dimora abituale. Né risulta, ai fini di una diversa soluzione, che l’immobile sia stato adibito ad abitazione principale di un familiare”.

Quindi, nel caso di cessione infraquinquennale, la cessione dell’immobile italiano del cittadino residente all’estero risulta imponibile. A patto, ovviamente, che non ricorra l’altra fattispecie di esonero, ossia che l’immobile sia pervenuto a seguito di successione.