30 Dicembre 2014

Per le fatture false soggettive l’importante è “non sapere”

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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La Corte di Cassazione torna sul tema delle false fatture soggettive con una corposa sentenza, sicuramente importante in quanto riassuntiva di tutto l’excursus giurisprudenziale, sia della medesima suprema Corte che della Corte di Giustizia Europea, giungendo anche all’enucleazione dei principi di riferimento da utilizzare per la formazione dell’onere della prova da parte dell’Amministrazione finanziaria ed, in fase difensiva, del soggetto sottoposto a recupero fiscale.

Dopo le modifiche normative introdotte dal D.L. n. 16/2012, la problematica in questione è soprattutto concentrata sulla detraibilità dell’Iva. Infatti, sul fronte delle imposte dirette è stata stabilita la deducibilità dei costi collegati a dette prestazioni a prescindere dalla buona fede del soggetto ricevente la fattura, dovendosi soltanto rispettare i parametri canonici (in primis, quello di inerenza), richiesti dal Tuir.

Più controversa è invece la questione sul fronte Iva, posto che il contribuente, per conservare la detraibilità dell’imposta, deve dimostrare la totale estraneità al disegno evasivo ed in particolare evidenziare di non sapere, o meglio ancora di non aver potuto sapere, di aver ricevuto una falsa fattura soggettiva.

Certo, la prova non è affatto semplice, posto che a differenza delle falsità oggettive non è necessario, tra l’altro, dimostrare che la prestazione sia realmente avvenuta, posto che la stessa non è messa in discussione: deve invece provarsi la non consapevolezza e la buona fede del ricevente la fattura di interfacciarsi ad un soggetto interposto.

Sul tema, in via preliminare, è bene rimarcare che la correttezza formale delle scritture contabili nonché soprattutto l’avvenuto pagamento con modalità tracciata non sono affatto sufficienti. Ripetutamente la giurisprudenza ha sottolineato tale assunto, atteso che appare scontato che chi utilizza false fatture decida quantomeno di avere un assetto formale inattaccabile. Dunque la prova difensiva deve transitare per altre, più concrete, strade.

La Sentenza n. 26854 depositata il 18.12.2014 è esaustiva ed esplicativa, soprattutto in riferimento al caso affrontato. La CTR aveva respinto le tesi dell’Amministrazione finanziaria sottolineando come non fosse stato dimostrato il collegamento tra le società coinvolte (ed in particolare il collegamento tra l’utilizzatore della fattura e le altre partecipanti alla frode), nonché l’esistenza di un presunto patto in frode ai danni del Fisco.

La Corte di Cassazione ha cassato tale valutazione, sottolineandone i difetti di fondo:

  1. In primo luogo non è assolutamente necessario che vi sia un collegamento tra i soggetti coinvolti, in quanto non è indispensabile una sorta di controllo o influenza nelle scelte dei diversi contribuenti, potendo esistere tranquillamente “autonomi” centri di interesse nel partecipare all’utilizzo delle false fatture;
  2. Allo stesso modo, non serve affatto un patto in frode ai danni del Fisco, non essendo necessaria la partecipazione alla commissione dell’illecito fiscale, ma “(…) essendo necessaria la mera consapevolezza o comunque il sospetto fondato su circostanze obiettive (…)”;
  3. La valutazione del consapevole utilizzo di false fatture soggettive transita per altre strade, quali la conoscenza/conoscibilità di elementi obiettivi di sospetto derivanti dalla concreta fattispecie come ad esempio “(…) la inesistenza di capacità aziendale della cedente, l’offerta da parte della cedente di prezzi inferiori a quelli correnti di mercato a condizioni anomale rispetto a quelle comunemente praticate (richieste di pagamento o di bonifici a terzi), il trasporto delle merci effettuato da altre società o per conto di altra società che si colloca a monte della catena di cessioni, gli ordinativi di consegna intestati ad altri fornitori, la univocità o costante reiterazione dei rapporti commerciali di fornitura di beni fungibili o comunque agevolmente reperibili sul mercato intrattenuti con la cedente”.

Dal che è desumibile il principio di diritto operante in materia di riparto dell’onere probatorio nel contesto delle false fatture soggettive:

  • L’onere della prova grava sull’Ufficio, che deve anzitutto dimostrare l’interposizione fittizia del soggetto cedente ovvero la frode realizzata a monte dell’operazione e poi soprattutto la “conoscenza o conoscibilità” da parte del cessionario della frode commessa dal cedente o da altri soggetti;
  • Grava sul contribuente che intende detrarre l’Iva la prova dell’effettiva corrispondenza, anche soggettiva, dell’operazione documentata in fattura con quella realizzata, ovvero “(…) la prova dell’incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale dell’operazione ingenerato dalla condotta del cedente, avuto riguardo alle modalità in cui si sono svolti i rapporti commerciali, ed agli elementi informativi acquisiti o comunque disponibili (in quest’ultimo caso la conoscibilità deve essere rapportata al grado di attenzione e diligenza normalmente richiesta nella conduzione degli affari all’operatore del settore di media esperienza) nel corso delle trattative ed al momento della conclusione delle operazioni”.

Il tutto tenendo presente le statuizioni della Corte di Giustizia Europea, secondo cui sono di ostacolo alla detrazione Iva non solo la prova della partecipazione del soggetto alla frode, ma anche la prova della sola consapevolezza da parte del cessionario che l’operazione che si accinge a compiere è iscritta in un fenomeno criminoso, intendendosi per consapevolezza anche la mera conoscibilità delle condotte evasive poste in essere dal cedente, da desumere mediante l’impiego della specifica diligenza professionale.