24 Settembre 2013

Pagano l’Irap i tassisti soci di cooperativa

di Federica FurlaniSergio Pellegrino
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Con la sentenza della Cassazione n. 21326/13, depositata in Cancelleria lo scorso 18 settembre, la saga (infinita) della verifica dell’autonoma organizzazione ai fini della debenza dell’Irap si arricchisce di un nuovo capitolo.

La categoria interessata è, nel caso di specie, quella dei tassisti.

In passato la Suprema Corte, si veda la sentenza 20454/11 del 6 ottobre 2011, aveva sancito il mancato assoggettamento di un tassista all’imposta regionale, sulla base della considerazione che questi non si poteva considerare dotato di autonoma organizzazione, presupposto indispensabile per la soggettività passiva, utilizzando per il proprio lavoro solo il mezzo di trasporto, un computer ed un cellulare.

Nel caso della più recente pronuncia, invece, i Giudici sono arrivati a conclusioni opposte, respingendo il ricorso dei contribuenti e confermando l’esito dei primi due gradi di giudizio, ritenendo che l’attività di tassista configurasse un’attività autonomamente organizzata.

Il discrimine è rappresentato, secondo la visione della Corte, dalla verifica dell’esistenza di un’organizzazione di beni e di persone generativa di un valore aggiunto indipendente dall’apporto meramente personale, e questo alla luce dei servizi fruiti per il tramite della cooperativa di cui i ricorrenti erano soci.

La sentenza ricorda quale sia la posizione della Corte Costituzionale circa la natura dell’imposta, che riguarda il valore aggiunto prodotto, ossia la nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva, assoggettata ad imposizione ancor prima della sua distribuzione al fine di remunerare i diversi fattori della produzione. L’Irap colpisce la capacità di contribuzione dell’“organizzatore di attività”, che in quanto tale “è autore delle scelte dalla quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione”.

In questo ambito soggettivo rientrerebbero i tassisti che usufruiscono dei servizi forniti dalle cooperative di cui sono soci.

La presenza dell’autonoma organizzazione non va ricercata necessariamente soltanto in capo all’imprenditore o al lavoro autonomo, ma può determinarsi per effetto dell’apporto collaborativo di terzi, di specifici rapporti contrattuali di lavoro, o ancora di una serie ripetuta di prestazioni rese con altre tipologie di somministrazione, o, come nel caso di specie, per una condivisione organizzativa societaria di risorse e servizi.

La società cooperativa si deve considerare, secondo i Giudici, una “stabile struttura che assicura, in via tipica e costante, al singolo tassista continuità di lavoro, migliori condizioni economico-professionali, centralizzazione della raccolta pubblicitaria, assistenza amministrativa e fiscale”. Configura quindi l’esistenza di un apparato esterno alla persona dell’imprenditore (o del professionista), distinto da lui, e risultante dall’aggregazione di beni strumentali e/o lavoro altrui, che determina la sussistenza del presupposto impositivo in capo a coloro che fruiscono dei relativi servizi.

Considerato il fatto che la maggior parte dei tassisti nel nostro Paese fanno parte di cooperative, e che precedenti pronunce potevano aver indotto gli appartenenti a questa categoria ad “archiviare” tout court la pratica Irap, ecco che la sentenza della Cassazione depositata qualche giorno fa rovescia gli equilibri. Sarebbe però da chiedersi se effettivamente siamo di fronte in tutti questi casi ad una autonoma organizzazione o piuttosto a quel “minimo indispensabile” necessario per l’esercizio dell’attività.