27 Novembre 2015

Proposte di lettura da parte di un bibliofilo cronico

di Andrea Valiotto
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I russi

I_RUSSI_Tommaso Landolfi

Adelphi

Prezzo – 30

Pagine – 365


Nel 1928 Landolfi è studente all’Università di Firenze. Dai corsi ufficiali, però, si tiene «a rispettosa distanza»: la sua unica, «beata», occupazione è parlare per notti intere di letteratura con gli amici Carlo Bo, Leone Traverso e Renato Poggioli. «Lì era la nostra università,» ricorda «a quella vera non andavamo mai». È grazie a Poggioli che scopre la letteratura russa: e in questa disciplina, che a Firenze allora nessuno professava, si laureerà nel 1932 con una tesi sull’opera di Anna Achmatova. Intanto, nel 1930, sono usciti un racconto, Maria Giuseppa, e la recensione al Re Lear delle Steppe di Turgenev: il suo doppio destino – di scrittore e di slavista – è segnato. Ma slavista è forse il termine meno adatto. Incontrando la letteratura russa, Landolfi incontra in realtà una parte di sé: e l’«uomo superfluo» – in cui confluiscono senso di estraneità, stanchezza spirituale, profondo scetticismo – diventa uno specchio nel quale non cesserà di guardarsi. Per non parlare del dualismo morale, dei fantasmi, dell’innocenza russa, di Gogol’ e Dostoevskij, che entrano stabilmente fra gli agenti attivi della sua immaginazione, per poi rifluire nella narrativa. Non meraviglia allora che in Russia Landolfi non sia mai andato: quel paese era per lui, e sarebbe rimasto, un’immagine, la matrice di una letteratura consegnata a un «eterno romanticismo», nonché di scrittori irriducibili agli schemi, capaci di ricreare da capo il proprio mondo. Né meraviglia che il prestigio di russista gli sia apparso da ultimo una persecuzione: proprio come le traduzioni, lavori venali che, diceva, «sempre più mi allontanano dal mio proprio lavoro». Resta il fatto che, al di là delle scintillanti e magistrali versioni che sino al 1967 Landolfi ha continuato a produrre, i suoi scritti sulla letteratura russa rivelano una capacità di intuirla che non ha molti uguali nel nostro Novecento: e che ci lascia ammirati.

 

Non sei più mio padre

NON_SEI_PI_MIO_PADREEva Cantarella

Feltrinelli

Prezzo – 14

Pagine – 160


A fronte della crisi del concetto stesso di famiglia e di atroci episodi di cronaca che hanno scosso i parametri del rapporto genitori-figli, Eva Cantarella è venuta interrogandosi – forte dei suoi strumenti di studiosa del diritto e della cultura antica – sulla storia di quel rapporto che, insieme alla dinamica degli affetti, porta inevitabilmente con sé tensioni, conflitti, e molto spesso violenza. Questa conflittualità sembra legata alla sola modernità, ma affonda le sue radici lontano: nei miti teogonici, nella famiglia patriarcale, nelle storie, spesso sanguinose, che la letteratura testimonia con straordinaria evidenza; nella mitologia, nei poemi omerici e nella tragedia classica, dove il tema della famiglia diventa il teatro pieno d’ombre della ferocia, della vendetta, della ribellione. Un teatro che, se a tutta prima parrebbe non implicare uno scontro generazionale, in realtà lo contiene, lo nutre, lo agita. Ecco allora che il conflitto, così presente nell’attuale agenda politica, si lascia leggere anche alle origini della nostra civiltà là dove i giovani entrano in rotta di collisione con la gerontocrazia. Secondo modalità e procedure che la lettura del mondo antico porta progressivamente alla luce. Una volta di più Eva Cantarella si rivela affascinante evocatrice di personaggi e di storie, da Crono, signore dei Titani, divoratore dei suoi stessi figli, a Teseo, il parricida che uccide il proprio figlio, da Telemaco l’obbediente a Ettore il saggio, sia come padre sia come figlio, dai ribelli Antigone e Oreste a Medea, madre assassina. Ma allora te ne sei stato in disparte e hai lasciato morire un altro, un giovane, vecchio come sei. E adesso vieni a piangere questo morto? Tu non sei il mio vero padre.

 

I fratelli Kristmas

I_FRATELLI_KRISTMASGiacomo Papi

Einaudi

Prezzo – 17,50

Pagine – 240


È la notte del 24 dicembre, ma il vecchio Niklas Kristmas, alias Babbo Natale, non può consegnare i regali. Ha una febbre da cavallo e una tosse spaventosa. Se uscisse al gelo – sentenzia l’elfo dottore – ci lascerebbe le penne. Cosí, a malincuore, l’incarico viene affidato a Luciano, il fratello minore di Niklas. I due hanno litigato anni prima, perché Luciano è un uguagliatore: per lui tutti i bambini sono uguali, e vuole portare a ciascuno lo stesso numero di doni. Mentre lo gnomo orologiaio rallenta il tempo, Luciano ed Efisio, il nano picchiatore, partono a bordo della slitta volante. Ma l’avido industriale dei giocattoli Panicus Flynch, che trama per impadronirsi del Natale, ha sguinzagliato sulle loro tracce le feroci valchirie. Ad aiutare Luciano ed Efisio saranno Maddalena e suo fratello Pietro, due bambini di nove e dodici anni. Per portare a termine la missione c’è bisogno del loro coraggio.

 

Il viaggio d’inverno di Schubert

IL_VIAGGIO_DINVERNO_DI_SCHUBERTIan Bostridge

Il Saggiatore

Prezzo – 32

Pagine- 377


Nel 1825, in tournée a Salisburgo, Schubert scrive al fratello di aver creato una forma d’arte inedita: «La maniera in cui Vogl canta e io eseguo l’accompagnamento, dando corpo a un unico interprete, è qualcosa di nuovo e mai udito». Nasce il Lied moderno: qualcosa di «perfetto» che sublima una pratica popolare e la indirizza verso la sua completa metamorfosi, quel Canto della Terra di Mahler che non vede più confini fra art song e sinfonia. Schubert compone i ventiquattro Lieder per voce e pianoforte di Winterreise, Viaggio d’inverno, tra il 1827 e il 1828, verso la fine della sua breve vita, musicando le poesie che Wilhelm Müller aveva pubblicato nella rivista, sospetta al governo prussiano, Urania e nei Deutsche Blätter  Inizia qui la storia di un’opera tra le più note e frequentate – da interpreti e ascoltatori – della musica cosiddetta classica. Ian Bostridge, uno dei massimi interpreti di Lieder di oggi, sedotto fin dall’adolescenza dalla Winterreise, ne esplora ogni aspetto. Racconta la trama, che Schubert stesso ha volontariamente sottratto, frammentato, rendendo il suo Wanderer – il suo viandante che cammina su strade innevate e ventose, bandito (o forse in fuga) da una casa calda e un tempo accogliente – un personaggio inquieto, fortemente byroniano, inevitabilmente affascinante. Affronta ogni emozione – perdita, dolore, solitudine, disperazione, ironia a volte – ingigantita dal paesaggio notturno e invernale, e la attraversa, viandante lui stesso nella musica di Schubert.  La lettura supera la suggestione personale, per aprirsi al mondo che ha creato la Winterreise e al mondo che l’ha accolta, e ogni Lied diventa l’occasione per collocare l’opera nel suo contesto storico e trovare connessioni nuove e impreviste, letterarie, visive, psicologiche, scientifi che e politiche. E naturalmente musicali: in una composizione così estesa come quella del Viaggio d’inverno sono presenti schemi ricorrenti e artifici armonici che meritano di essere rilevati, e Bostridge lo fa con un approccio che si potrebbe definire fenomenologico, tracciando traiettorie soggettive e culturalmente connotate, piuttosto che catalogando modulazioni, cadenze, terzine, pianissimo e fortissimo. Al centro del Viaggio d’inverno di Schubert è la musica nella sua totalità, perché, come Müller afferma, «le mie canzoni vivono una vita a metà, un’esistenza cartacea di bianco e nero, finché la musica non soffia in loro la vita».

 

Canale Mussolini. Parte seconda

CANALE_MUSSOLINI._PARTE_SECONDAAntonio Pennacchi

Mondadori

Prezzo – 22

Pagine – 432


Il 25 maggio del 1944 – ultimo giorno di guerra a Littoria – nel breve intervallo tra la partenza dei tedeschi e l’arrivo in città degli anglo­americani, Diomede Peruzzi entra nella Banca d’Italia devastata e ne svaligia il tesoro. È qui che hanno inizio – diranno – la sua folgorante carriera imprenditoriale e lo sviluppo stesso di Latina tutta. Ma sarà vero? Il Canale Mussolini intanto – dopo essere stato per mesi la dura linea del fronte di Anzio e Nettuno – può tornare a essere quello che era, il perno della bonifica pontina. In un nuovo grande esodo, che ricorda quello epico colonizzatore di dodici anni prima, gli sfollati lasciano i rifugi sui monti e tornano a popolare la città e le campagne circostanti. I poderi sono distrutti, ogni edificio porta i segni dei bombardamenti. Ma il clima adesso è diverso, inizia la ricostruzione. Nel resto d’Italia però la guerra continua e si sposta man mano verso il nord, mentre gli alleati – col decisivo ausilio delle brigate partigiane e del ricostituito esercito italiano – costringono alla ritirata i tedeschi e le milizie fasciste. È una guerra di liberazione, ma anche una guerra civile crudele e fratricida. E la famiglia Peruzzi, protagonista memorabile della saga narrata in queste pagine, è schierata su tutti i fronti di questo conflitto. Paride al nord nella Rsi – mentre sogna di tornare dall’Armida e da suo figlio – rastrella ed insegue i partigiani. Suo fratello Statilio combatte i tedeschi in Corsica con il Regio esercito, poi a Cassino e su su fino alla linea Gotica. Il cugino Demostene è partigiano della brigata Stella Rossa, e combatte anche lui per liberare l’Italia. Accanto a loro ritroviamo lo zio Adelchi, che vigila sulle ceneri di una Littoria piena di spettri e di sciacalli, in attesa che nasca Latina; il mite Benassi e zia Santapace, collerica e bellissima; l’Armida con le sue api, e la nonna Peruzzi, che attribuisce compiti e destini alle nuove generazioni via via che vengono al mondo. E su tutti c’è Diomede – detto Batocio o Big Boss per un piccolo difetto fisico – il vero demiurgo della nuova città. Con il suo funambolico impasto linguistico veneto-ferrarese, col suo sguardo irriverente e provocatorio sempre addolcito però da un’umanissima pietas – «Ognuno ga le so razon» – Antonio Pennacchi torna a narrare le gesta dei Peruzzi, famiglia numerosa e ramificata di pionieri bonificatori, grandi lavoratori, eroici spiantati, meravigliosi gaglioffi, e donne generose e umorali. E se nel primo volume di Canale Mussolini ci aveva fatto riscoprire un capitolo della nostra storia per molti versi dimenticato, in questa seconda parte si dedica a mantenere viva la memoria del difficile processo di costruzione della nostra Italia democratica e repubblicana. Canale Mussolini – Parte seconda è un grandioso romanzo corale e polifonico, un’opera letteraria di smagliante bellezza che, alternando i toni dell’epica a quelli dell’elegia, ci dà lucidamente conto di ciò che siamo, in forza di ciò che nel bene e nel male siamo stati.